«Liberate mio padre prigioniero in Oman»

«Liberate mio padre prigioniero in Oman»
di Massimo Sbardella
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Venerdì 19 Febbraio 2021, 14:35

E’ una storia senza fine, quella di Nader Morsy, 59 anni, ingegnere gestionale di origine egiziana ma sposato e residente in Italia, da quattro anni bloccato in Oman. Quattro anni lunghissimi, in cui la moglie Antonella, di 60 anni, e la figlia Yasmin, di 24, residenti tra Gallicano nel Lazio e Palestrina, hanno provato in ogni modo a scardinare un fitto intreccio tra interessi, potere e corruzione. Lavorando per una grossa multinazionale, Nader era in Oman già da tre anni (insieme alla famiglia) quando, a dicembre 2016, resta coinvolto in un’incredibile vicenda. «L’incubo – racconta Yasmin - inizia quando i vertici omaniti di quell’azienda, che dovevano riconoscergli una commissione di 850 mila dollari per un progetto concluso, gli sequestrano tutti i documenti, compreso il passaporto, che mio padre teneva in ufficio. Usano questi per ricattarlo, intimandogli di rinunciare alla commissione per poter riavere i documenti. Dopo qualche settimana papà, area manager in Oman di questa ditta, viene accusato di mala gestione, e finisce in tribunale, ma il giudice lo dichiara innocente». «Sembrava tutto risolto, - continua Yasmin - invece eravamo solo agli inizi». Approfittando della situazione, Nader viene contattato da un potente generale della polizia di Muscat che, in cambio di un suo intervento, gli chiede di aiutarlo a risollevare le sorti dell’azienda di uno sceicco locale, vicina al fallimento.
IL GENERALE
«Inizialmente – continua la figlia Yasmin – mio padre ebbe indietro i suoi documenti e, nell’aprile 2017, venne in Italia insieme al generale e allo sceicco per concludere due progetti, uno a Piombino e l’altro in Oman, riguardanti la costruzione di un grande ospedale pediatrico. Purtroppo, però, ritornato a Muscat con loro, ci accorgemmo che lo tenevano in scacco e, da allora, non è mai più riuscito a tornare in Italia». A settembre 2017, con l’accusa di non aver pagato una rata dell’auto che aveva lì, Nader viene rinchiuso in una caserma. «Anche questa accusa - precisa la figlia - cade subito in un tribunale, ma mio padre continua ad essere trattenuto in caserma, senza una motivazione, né un’accusa, con il suo passaporto usato come arma di ricatto e merce di scambio per ottenere documenti di lavoro firmati da lui».
RABBIA E DISPERAZIONE
«È una storia difficile da credere - dice la moglie Antonella – ma è tutto vero, come hanno verificato la Farnesina e l’ambasciata egiziana, che stanno seguendo la vicenda.

Quella che stiamo vivendo è la cruda realtà». Intanto il tempo corre, veloce, mentre Nader perde peso, ha problemi di salute, che deve curare con farmaci difficile da trovare, e una depressione che lo porta, in diversi momenti, ad inviare a casa lettere dai toni inquietanti. Il fatto che lui sia di origine egiziana, e viva da oltre 30 anni in Italia con la propria famiglia italiana, è stato a lungo l’ennesimo ostacolo, con Ministero degli Esteri italiano e Ambasciata egiziana a rimpallarsi per quasi tre anni competenze e merito. «Solo un anno fa – precisa Yasmin – il ministro Luigi Di Maio ha risposto alle nostre sollecitazioni e la Farnesina ha iniziato a seguire la vicenda, coinvolgendo l’Ambasciata egiziana ed italiana in Oman. A dicembre il console egiziano ha fatto visita a papà, per dargli conforto. Purtroppo, però, dopo altri due mesi, papà si trova ancora in una caserma di Sohar, la città del generale, e con mamma ci ritroviamo nello sconforto, come se nessuno potesse combattere un Paese così corrotto».  

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