«Luca Sacchi conosceva i suoi killer», le ombre sul processo

«Luca Sacchi conosceva i suoi killer», le ombre sul processo
di Giuseppe Scarpa
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Martedì 19 Maggio 2020, 09:00 - Ultimo aggiornamento: 13:55

Cala un'ombra sul ruolo di Luca Sacchi, 24 anni. Il personal trainer freddato con un colpo di pistola alla nuca la notte del 23 ottobre fuori dal pub John Cabot nel quartiere Appio Latino. Innamorato della sua Anastasia Kylemnyk, 25 anni, fino a difenderla dalla rapina a costo della propria vita e forse, anche, di una porzione di capitale investito. Evidentemente, Sacchi, comprendeva fino in fondo le origini di quella aggressione. Sapeva bene che la sua ragazza, con l'amico Giovanni Princi, stava cercando di acquistare una partita di marijuana pagandola 70mila euro. E dentro quell'affare era coinvolto molto più di quanto si pensasse sino ad oggi. Sacchi conosceva i grossisti della droga Valerio Del Grosso e Paolo Pirino che, a bordo di una smart, stavano andando a consegnare il pacco. Salvo poi cambiare idea, decidere di tenersi la roba e tentare di rubare i soldi. Sacchi li conosceva e, almeno 6 giorni prima che l'uccidessero, li aveva perfino incontrati dalle parti di casa loro, a Casal Monastero.

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L'informativa depositata ieri a processo, dal nucleo investigativo dei carabinieri, restituisce una fotografia più ampia di quella terribile notte. Ad iniziare dai giorni precedenti: dagli incontri tra Sacchi e Kylemnyk da una parte e i pusher Del Grosso e Pirino dall'altra. I cellulari dei 4 ragazzi si agganciano nella stessa cella telefonica di via Acuto a Casal Monastero, alla stessa ora, tra le 15.30 e le 16.00, dello stesso giorno il 18 ottobre scorso: «a dimostrazione che l'incontro tra i due gruppi - annotano i militari dell'Arma - è verosimilmente avvenuto». Ma c'è di più. Tre ore dopo l'incontro con gli spacciatori il personal trainer e la ragazza scambiano dei messaggi. Il contenuto è di interesse investigativo, sembra rimandare all'organizzazione di un progetto. Probabilmente quello che andrà in porto pochi giorni dopo, in cui Sacchi perderà la vita. «Amo novità? Ti attieni ai piani? », scrive lui. «Sì ci vediamo dopo» la risposta. «Spero tu faccia come mi hai detto - ribatte il 24enne - se scopro che hai fatto le cose a c...., senza me».

Ma oltre a questo i carabinieri hanno riversato nell'informativa anche altre conversazioni. Quella datata sei settembre è molto chiara. I messaggi che spedisce il 24enne confermano la sua consapevolezza in merito al nuovo business intrapreso. Lui e Anastasia sarebbero dovuti andare a vivere, in un unico appartamento, con Princi e la fidanzata. Il progetto al personal trainer non piace più, però vorrebbe continuare a fare affari assieme all'amico di cui conosce bene la reale professione. Lo spiega così alla Kylemnyk: «Loro sono più randagi rispetto a noi, noi possiamo avere una vita più tranquilla per le carte che abbiamo. Lavorarci sì, ma viverci insieme come una piccola famiglia no. Lui (Princi) è uno spacciatore di discreto livello e la polizia è il problema minore».

LA PRIMA UDIENZA
Scende il silenzio quando Anastasia varca l'ingresso dell'aula della prima Corte D'Assise. È un attimo. La porta blu in acciaio si chiude dietro le sue spalle. Due carabinieri controllano che nessuno entri. All'interno, oltre ai giudici, sono ammessi gli imputati, i difensori, il pm Nadia Plastina e le parti civili con i genitori e il fratello di Luca Sacchi. Alfonso Sacchi si gira verso l'ingresso quando l'ex ragazza del figlio varca la soglia. Cerca di fissarla. Vorrebbe una spiegazione a quella domanda che da sette mesi non riceve risposta. «Raccontaci la verità». Ma la baby sitter, accusata di spaccio, tira dritta. Ufficialmente, per la Kylemnyk, esiste una sola versione: «Sono stata rapinata». Si è sempre dimentica di dire che la rapina era il frutto di una compravendita, andata male, di stupefacenti, di cui lei sarebbe stata l'acquirente assieme a Princi. E forse anche a Luca.

 

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