Ancora una volta in balia degli eventi. Frastornati, confusi, spaventati - perché se il Lazio restasse in zona arancione loro dovrebbero dire addio ad altri 50 milioni di euro per mancati incassi in una settimana - e pure arrabbiati in una misura per cui «sarà difficile mantenere calma la base della ristorazione romana», spiega Sergio Paolantoni a capo della Fipe Confcommercio. Si apre oppure no? I ristoranti possono tornare a ospitare i clienti a pranzo? L’ultimo Dpcm segnerebbe semaforo verde a partire dal primo febbraio e fino a ieri mattina «c’era pure la finestra di un’apertura da domenica», prosegue Paolantoni. Poi lo scenario è nuovamente cambiato e benché i dati sui contagi nel Lazio siano in calo, così come quelli delle occupazioni delle terapie intensive e l’indice Rt ben sotto all’1%, l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato ha spiegato che «sul ritorno in zona gialla bisogna attendere le valutazioni dell’Istituto superiore di sanità e le successive determinazioni del ministero della Salute».
Lazio zona gialla, il grido dei ristoratori: «Apriamo domenica, ma poi stop chiusure»
LE PERDITE
Morale? «Restiamo in balia degli eventi - conclude Paolantoni - che significa rinunciare, se le condizioni restassero quelle di una zona arancione per il Lazio, ad altri 50 milioni di incassi per una settimana.
IL DISAGIO
E chi lo sa. «I ristoranti non sono degli interruttori che si accendono e spengono a piacimento», commenta Enrico Pierri, titolare dello storico Il San Lorenzo. «Mesi fa ero arrabbiato, ora sono rassegnato, in 67 giorni abbiamo lavorato solo 8 giorni, se l’obiettivo è farci riaprire quando arriveremo in zona bianca che lo dicessero, è diventata una barzelletta e rischia di aprire scenari ben più critici: in sole 48 ore ho ricevuto 4 telefonate di intermediari che mi chiedevano se fossi interessato ad acquistare un ristorante in centro storico». Tra l’altro chiudere un’attività da un giorno all’altro come è accaduto nel weekend del 16 gennaio «e cosa più gestibile dal riaprire un locale - aggiunge Alessandro Camponeschi, titolare dell’omonimo ristorante di piazza Farnese - perché dopo due settimane di chiusura ci sono le macchine da pulire perché si ossidano e da riaccendere oltre alla spesa da fare». Su quest’ultimo fronte i ristoratori non ci cascano più.
«Per Natale avevo ordinato pesce da San Benedetto - spiega Enrico D’Angeli, titolare del Grottino del Laziale - e poi l’ho dovuto portare a casa, stavolta la spesa non la faccio fino a che non ho la certezza di riaprire». E anche Elisabetta Girolami del Ristoro degli angeli a Garbatella dice: «Abbiamo un mercato biologico aperto anche la domenica, se mai ci dovessero far riaprire, mi sveglierò all’alba e preparerò la metà del menù» perché investire e spendere per poi dover «buttare è un’offesa». Molte attività non praticano il delivery o l’asporto per non inficiare la qualità del prodotto. «Prova a consegnarla una cacio e pepe a casa vedi come il cliente ti abbandona», conclude D’Angeli. Poi c’è il fronte dei dipendenti. «Ho dieci persone tra sala e cucina - aggiunge Fabiano Lo Faro, titolare di Osteria Circo - con arretrati di 2-3 mesi sulla cassa integrazione anticipata da me in attesa dei ristori. Vogliono tornare a lavorare ma non sappiamo se e quando potremo farlo». Da Maccarese Renatone Salvatori del Puntarossa accusa: «I costi camminano lo stesso ma noi siamo fermi, siamo stati presi di mira mentre la situazione è sfuggita di mano». E nell’aria già si sta alzano un vento di nuove proteste di piazza.