Roma, bimbo morto nell'ascensore della metro: dipendente Atac che cercò di salvarlo rischia condanna

Roma, bimbo morto nell'ascensore della metro: dipendente Atac che cercò di salvarlo rischia condanna
di Francesca De Martino
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Giovedì 1 Luglio 2021, 22:28

Aveva cercato di salvare la mamma e il figlio di quattro anni intrappolati nell’ascensore della metro di Furio Camillo nel caldo luglio del 2015, ma per una manovra sbagliata il piccolo di quattro anni era morto: ora il dipendente Atac Flavio Mezzanotte rischia la condanna a 2 anni e 4 mesi per omicidio colposo, commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. La sentenza arriverà il 9 luglio, a sei anni esatti dalla morte del piccolo Marco che, durante il tentativo di soccorso dell’imputato, era poi precipitato nella tromba dell’ascensore dopo dieci interminabili minuti a soffrire per il caldo afoso. Per l’accusa rappresentata da Louella Santini non c’è dubbio che quella «manovra non spettava a Mezzanotte, non formato per quel tipo di interventi che spettano a tecnici qualificati». 

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LA DEPOSIZIONE
In aula l’imputato ha approfittato della discussione per approfondire con più lucidità alcuni aspetti: «Oggi sono più cosciente dei fatti e ci tengo a dire che ho agito perché noi operatori di stazione in casi pericolosi possiamo intervenire da soli senza aspettare i tecnici e lo avevo già fatto alla fermata della metro di Spagna anni fa salvando nello stesso modo una ragazza - sottolinea, ancora provato, il dipendente Atac - Quel giorno ero sicuro che i soccorsi sarebbero arrivati in ritardo perché c’erano scioperi di linea e poi gli addetti della Kone non avevano mai dato riscontro della segnalazione.

Non mi sono sentito di lasciare la mamma e il bambino a un caldo percepito di 33 gradi».

E sulla questione contestata di non aver avvisato Francesca Giudice, la mamma del piccolo precipitato, ha aggiunto: «Ero in costante contatto con la signora tramite interfono. Era provata dalla situazione e l’ho avvertita del mio intervento. Quando sono arrivato le ho detto di stare lontana dalla porta». «E poi tutti i miei colleghi sapevano della mia operazione e nessuno mi ha fermato, segno che potevo fare ciò che ho fatto», ha ribadito l’imputato.

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Le parti civili hanno seguito la posizione dell’accusa perché l’intervento dell’imputato è stato «improvvido e intempestivo». E hanno chiesto la condanna e il risarcimento del danno, cifre che poi il giudice deciderà in base alle tabelle previste dal tribunale di Roma. I legali del nonno del bambino hanno invece chiesto una provvisionale di 50.000 euro. Si è costituita parte civile a processo anche l’Atac e la propria compagnia di assicurazione e i suoi legali hanno escluso ogni responsabilità dell’azienda perché «aveva posto tutte le tutele del caso, è inutile rigirare tutta la responsabilità sul datore di lavoro. L’operazione di trasbordo non è mai stata consentita agli operatori di stazione. Il regolamento è sempre rimasto lo stesso». Quello di Mezzanotte, secondo i legali dell’azienda del trasporto romano, è un gesto frutto di impulso personale e generosità.
Per la difesa l’imputato ha operato con le mansioni che era abituato a svolgere e ha agito per stato di necessità. Quindi ha chiesto l’assoluzione e l’estromissione dal processo dell’Atac e della propria compagnia di assicurazione come parte civile perché colpevole di non aver formato a dovere i lavoratori che non erano a conoscenza delle loro esatte mansioni.

«Nessuno dei dipendenti conosceva gli ordini di servizio. Erano tutti impreparati su come agire, la vera responsabile di questo processo è l’Atac. Il signor Mezzanotte ha agito in buona fede e ha svolto una mansione che già aveva eseguito, assistito dai tecnici per telefono, anche altre volte e ricevendo i complimenti dei colleghi», hanno concluso i legali dell’imputato.
 

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