Ha mostrato in aula la drammatica foto del corpo senza vita del fratello e ha ribadito che «non perdonerà chi lo ha fatto morire solo come un cane». È stato il giorno di Ilaria Cucchi nel processo a carico di otto carabinieri accusati di avere messo in atto depistaggi per ostacolare le indagini relative alla morte del giovane geometra romano, deceduto nell'ottobre del 2009 a sette giorni dall'arresto per spaccio di sostanze stupefacenti. «Non perdonerò mai che mio fratello Stefano sia morto tra dolori atroci - ha detto la donna nell'aula bunker di Rebibbia - da solo, solo come un cane, pensando che la sua famiglia, che sempre c'era stata, lo avesse abbandonato».
Ilaria: Stefano stava bene
Mostrando l'immagine del fratello, Ilaria ha detto che «il suo viso dopo la morte era qualcosa di agghiacciante, mi colpì l'espressione che raccontava la solitudine, il dolore, l'umiliazione.
La "guerra" famiglia-Arma
Tra le accuse «più assurde che mi vengono rivolte c'è quella che mi sono arricchita con la morte di mio fratello». In merito ai soldi ricevuti com'è risarcimento, Ilaria Cucchi ha spiegato che sono «sono serviti a vivere, a rimediare ai danni lavorativi e alle spese processuali di questi undici anni ». Il testimone ha aggiunto di non essere «assolutamente contro i Carabinieri, le forze dell'ordine o le istituzioni. Anzi credo che la mia battaglia è stata anche nell'interesse della parte buona, la stragrande maggioranza, delle forze dell'ordine. Non c'è nessuna guerra tra la famiglia Cucchi e l'Arma dei Carabinieri». Nel corso dell'udienza è stato ascoltato anche Nicola Minichini, uno degli agenti della Polizia Penitenziaria imputati nel primo processo per la morte di Stefano Cucchi e poi assolti per non aver commesso il fatto. «Non so come ne siamo usciti, eravamo imputati in un processo farsa. Io sono stato tradito da altri servitori dello Stato che hanno falsificato documenti, uomini che portano la divisa anche se di un altro colore ma che lavorano per lo Stato come me. Una cosa impensabile».
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