La ricostruzione dei fatti è semplice. Nel 2008 si dispose la riorganizzazione del Corpo della Polizia municipale romana con la previsione di aumento a 3.000 unità dei funzionari - di tutto questo dà conto il giudice del lavoro nella sua sentenza - Dopo un triennio, non avendo l’Amministrazione capitolina operato lo scorrimento della graduatoria per la copertura dei posti disponibili, i primi 318 vigili si rivolsero al giudice del lavoro. E nel 2014 ottennero il riconoscimento del loro «diritto ad essere inquadrati nella categoria D nei limiti dei posti vacanti e disponibili». Nulla è accaduto negli anni successivi, e allora, dopo una diffida all’Amministrazione, si è tentata la strada del Tar del Lazio per ottenere l’ottemperanza della sentenza del giudice del lavoro (nel frattempo passata in giudicato e quindi definitiva). Adesso, quella che l’avvocato Torcicollo ha definito «la doccia fredda». Per il Tar, infatti, «l’espressione vacanti e disponibili» adoperata dal giudice del lavoro per i posti da occupare, deve essere interpretata «come una necessaria combinazione di presupposti che devono co-sussistere»; in una frase «la disponibilità deve intendersi strettamente correlata alla pianificazione assunzionale dell’Ente» e quindi «in assenza di disponibilità di posti, Roma Capitale non ha disatteso la sentenza del Tribunale ordinario di Roma-sezione lavoro». «Le motivazioni della sentenza sono assolutamente unilaterali - commenta l’avvocato Torcicollo - perché recepiscono le eccezioni fatte dal Comune, senza considerare le ragioni illustrate dai ricorrenti, per chiarire il significato di posti vacanti e disponibili. Non vi è alcuna menzione dell’accordo sindacale del 2008 e degli altri atti, considerati invece dal giudice di merito. A questo punto presenteremo ricorso in appello al Consiglio di Stato, eccependo anche il vizio di eccesso di potere giurisdizionale, che poi potrebbe essere esaminato in Cassazione a sezioni unite, se anche il Consiglio di Stato non ci desse ragione. Ma noi ci auguriamo che il Consiglio di Stato capirà l’errore evidente in cui sono incorsi i giudici del Tar. Si tratta di una battaglia di civiltà e vogliamo reclamare giustizia a fronte di un evidente caso come questo di malagiustizia».
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