La sfida è difficile, le rivali «temibili. E nessuno farà sconti», mette subito in chiaro Giampiero Massolo, l’ambasciatore, ex capo dei servizi segreti del Dis, che Gualtieri ha voluto al timone del comitato promotore che proverà a portare a Roma l’Expo 2030. Un tesoro da 45 miliardi di euro, secondo le stime della Luiss, che genererebbe 200mila posti di lavoro, 100mila stabili a kermesse finita. Massolo si è appena insediato, ieri ha convocato un gruppo ristretto di giornalisti, per parlare della «campagna elettorale molto impegnativa» che attende la Capitale. Tocca convincere i 170 Paesi del Bie, il Bureau International des Expositions, con sede a Parigi, che assegna l’Esposizione. In questi mesi andrà dipanata una rete diplomatica larga, che si articolerà nelle relazioni internazionali ufficiali, nei contatti sottotraccia, nell’asse decisivo con l’Ue (Roma è l’unica città in corsa tra gli stati dell’Unione), arruolando nomi eccellenti nei due board che affiancheranno il comitato organizzativo, cioè il comitato d’onore e quello scientifico. Gualtieri punta sui rapporti consolidati che ha costruito durante l’esperienza all’Europarlamento e da ministro dell’Economia, vorrebbe Ursula von der Leyen nel comitato d’onore.
Mascherine all’aperto, anche Roma si adegua: giro di vite nelle città
C’è anche un precedente: nel 2006 il governo Prodi chiese a Barroso di impegnarsi per l’Expo 2015. Ma nelle riunioni riservate a Palazzo Senatorio sono state vagliate altre ipotesi. Quella più suggestiva, mai emersa finora, è sicuramente Barack Obama.
L’ambasciatore, che dal 2016 è presidente di Fincantieri e svolgerà l’incarico a titolo gratuito, ieri ha sottolineato gli «effetti economici positivi che produce l’Expo: dalla vendita dei biglietti all’effetto fiscale, dall’afflusso all’ospitalità. E da un Expo di successo può discendere una valorizzazione del patrimonio immobiliare, una capacità di attrarre investimenti». Com’è capitato a Milano dopo il 2015. C’è poi «il fil rouge col Giubileo del 2025» da sfruttare.
La prima tappa di avvicinamento verso l’assegnazione è il 14 dicembre a Parigi, per presentare il «concept», l’idea di base dell’Esposizione romana. Ci sarà Gualtieri, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, Massolo e Giuseppe Scognamiglio, l’ambasciatore che ha redatto il primo dossier e che dovrebbe essere promosso direttore generale del comitato organizzatore.
I TEMPI
Il passo successivo, ma dirimente, è trovare l’area dove costruire i padiglioni che, ad evento concluso, diventeranno incubatori di tecnologie, centri di ricerca e “case” delle start up. Se n’è discusso ieri in un vertice riservato in Campidoglio con l’assessore all’Urbanistica di Gualtieri, Maurizio Veloccia, e Scognamiglio. In pole c’è Tor Vergata, gli spazi che nel 2000 ospitarono due milioni e mezzo di Papaboys per la Giornata mondiale della gioventù. La prossima settimana è in programma un sopralluogo. Sembra ormai tramontata l’idea di Raggi dell’Expo diffuso su 3-4 poli, per problemi logistici, rischierebbe di essere un gap agli occhi del Bie. «Bisogna individuare un’area sufficientemente ampia, di 130 o 140 ettari, che rappresenti la cittadella dell’Expo - spiega Massolo - Questo non vieterà possibili iniziative in altre aree della città». Dopo il «bigliettino da visita» da sfoggiare il 14 dicembre, la scadenza successiva è il 30 aprile 2022, quando Roma dovrà illustrare il master plan definitivo. Poi, nel 2023, toccherà ai 170 elettori del Bie, a scrutinio segreto, depositare le schede nell’urna. Magari sotto gli occhi di Obama.