Elicottero caduto, la morte del pilota gentiluomo. La figlia: «Potevo esserci io»

Elicottero caduto, la morte del pilota gentiluomo. La figlia: «Potevo esserci io»
di Morena Izzo e Francesco Pacifico
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Domenica 12 Luglio 2020, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 11:23

La figlia Michela doveva salire su quel piccolo biposto proprio venerdì scorso. Nella stessa giornata nel quale il padre Mimmo è precipitato nel Tevere, all’altezza della Riserva di Farfa a Nazzano, mentre pilotava il suo elicottero R22. I due, come tante altre volte, dovevano andare a Bracciano a trovare un amico e poi tornare nel buen retiro di Torrita Tiberina, nella villa costruita su una cisterna romana, che avevano trasformato in una location per eventi. Alessandro, marito di Michela, aveva sempre avuto un certo timore per quelle traversate, ma lei lo aveva “zittito” come al solito: «Che vuoi che succeda? Mio padre è un pilota con 30 mila ore di volo alle spalle! Con lui in cielo mi sento più sicura che a terra. Poi sapessi come guida l’automobile...». E ora che il cadavere del genitore è stato portato a galla, non se ne fa una ragione: «È impossibile che un pilota così esperto, così attento come lui volasse così basso. No, deve essere successo qualcosa».

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La stessa domanda se la pongono gli inquirenti, i carabinieri della compagnia di Monterondo diretti dal tenente colonnello Gianfranco Albanese e la Procura di Rieti che ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo. Venerdì pomeriggio, Domenico Careri, 78 anni ex aviatore dell’aeronautica eppoi comandante dell’Alitalia sulle tratte internazionali, porta un’amica Elena Andrioli, 70 anni di Verona, a fare un giro con il R22 sopra la riserva di Farfa. Parte dal giardino della sua casa a neanche un chilometro in linea d’aria e - non si sa come - volando un’elica tocca un cavo dell’alta tensione, a 15 metri di altezza, che danneggia il mezzo. Il quale, dopo poco, sprofonda in una parte di fiume profonda 13 metri. Ieri, i sommozzatori dei carabinieri del gruppo di Ostia e dei vigili del fuoco hanno prima recuperato i corpi suoi e della donna, trovandoli ancora attaccati ai seggiolini. Poi con una gru attaccata a dei natanti è stato fatto riemergere il velivolo. Stando ai primi rilievi del medico legale, Careri e Andreoli sarebbero morti sul colpo. 

L’amico Luciano non ci crede «che Mimmo possa aver fatto un errore simile. Lui volava alto, altissimo. Poi era uno che, quando incontrava un suo collega o un suo ex allievo e veniva sapere di qualche manovra spericolata, lo redarguiva senza farsi remore». Alessandro, il genero, non nasconde che lui, «su quel “giocattolino”», non era mai «voluto salire. E non ci ho fatto mai salire i miei figli. Ma mio suocero era un pilota esperto, guidava i Boeing 777 per il mondo, maniacale nella manutenzione del mezzo, aveva fatto per anni l’istruttore. Il brevetto lo aveva rinnovato due mesi fa. Deve avere avuto un malore». Ipotesi alla quale crede anche Luciano: «Venerdì mattina, al bar, mi aveva detto di sentire fiacco. Cosa impossibile per lui, che si è ristrutturato la villa da solo».

Domenico, Mimmo Careri, aveva passato quasi tutta la sua vita sugli aerei. A sessant’anni, quando Alitalia lo aveva messo a riposo, si era trasferito in un’altra compagnia straniera per continuare a volare fino a 68 anni. Poi, con i soldi della liquidazione, si era comprato un piccolo elicottero biposto da 55mila euro e dato sfogo alla sua grande passione. «Non scrivete che era ricco - ci tiene a sottolineare il genero - era soltanto un uomo normale. Partiva da Ceri, vicino alla sua casa all’Infernetto, e andava a Bracciano o a Torrita: percorsi brevi, dove gli piaceva portare degli amici». Nell’intermezzo tra la vita in giro per il mondo come comandante dell’Alitalia e il buen retiro di Torrita, poi, ecco il progetto con la figlia Michela di trasformare la sua villa Baldacchini in una location per eventi e ricevimenti. A breve sarebbe partito anche un B&B. Sulla pagina Facebook della villa, per chiarire il servizio offerto, c’è un video promozionale, dove Careri “porta all’altare” una sposa in elicottero e poco dopo una pattuglia di ultraleggeri replica in scala minore una parata delle frecce tricolori, realizzando scie bianche nel cielo. La leggenda vuole che sotto a villa Baldacchini ci fossero le piscine di Nerone. Giovanni, un amico che ha lavorato in quella casa come manovale, ricorda: «Mimmo aveva lasciato uno dei cancelli che dava al giardino sempre aperto, proprio per dare a tutti la possibilità di ammirare i ruderi. Era informato di tutto, poi era un campione nel bricolage: il grosso della ristrutturazione della villa se l’è fatto da solo. Ma generoso com’era, ha dato lavoro a tanti di noi soltanto per aiutarci. A pensarci bene era proprio la sua casa a essere sempre aperta a tutti». Luciano aveva anche le chiavi: «Lui, romano, si è presentato in Paese in punta di piedi. Era riservato, amava dedicare molto tempo alla moglie, impazziva per i suoi nipoti, ma con la sua semplicità e la sua gentilezza non passava giorno che non lo si vedeva a prendere il caffè al bar. Poi, con la sua iniziativa, avrebbe portato tanta ricchezza in un Paese di mille anime. Per tutto questo lo consideravamo uno di noi». 

A queste parole, il genero Alessandro sorride: «Sì, sapeva fare ogni tipo di lavoro. Tante volte, per aiutare chi aveva bisogno faceva finta di non vedere che lo stavano un po’ “turlopinando”. Ma lui era fatto così». Intanto lì vicino, la moglie Michela, se ne resta in silenzio. Con chi l’avvicina o le telefona, si scusa e chiede di «essere lasciata sola». Le scappa soltanto un «è un disastro, disastro». E forse ripensa all’ultimo volo che non ha potuto fare con il padre.
 

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