Elena Aubry, la verità a un anno dalla morte: «Colpa delle buche»

Elena Aubry, la verità a un anno dalla morte: «Colpa delle buche»
di Alessia Marani e Adelaide Pierucci
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Mercoledì 19 Giugno 2019, 10:45 - Ultimo aggiornamento: 11:24

A un anno dall’avvio dell’inchiesta sulla morte di Elena Aubry si torna all’ipotesi iniziale. La motociclista dovrebbe essere stata uccisa proprio dal manto sconnesso di via Ostiense, da uno dei tanti avvallamenti causati dalle radici degli alberi. Manca la verbalizzazione ma ora c’è anche la convergenza tra le testimonianze. Per la procura, infatti, era indispensabile accertare il punto in cui la Honda Hornet della 26enne deceduta il 7 maggio 2018 fosse schizzata via e ieri è stato individuato. Rintracciata dopo mesi di ricerche l’infermiera che ha assistito all’incidente e si è fermata per prestare aiuto, il pm Laura Condemi ha disposto un nuovo sopralluogo nel tratto dell’incidente, con la soccorritrice, altri due testimoni e l’ingegnere delegato alla ricostruzione dello schianto. Ed è risultata una convergenza tra le conclusioni. Conclusioni che a giorni saranno depositate a palazzo di giustizia. 

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Il confronto ha anche escluso che qualcuno, a bordo di un mezzo, possa aver colpito o fatto deviare la moto della giovane. Elena ha perso il controllo della moto per via della strada. L’indagine, al momento, è ancora contro ignoti ma presto potrebbero essere formulate le ipotesi di reato contro i primi indagati, verosimilmente i funzionari del Campidoglio addetti al controllo e alla cura dell’arteria. Nel caso, bisognerà accertare se l’addebito sia da ricollegarsi alla scarsa manutenzione della via o degli alberi, le cui radici creano avvallamenti coperti, periodicamente, da un tappeto di aghi di pino. La procura per rintracciare la super testimone, ha disposto l’esame dei tabulati telefonici degli automobilisti che sono gravitati nell’area al momento dell’incidente. Una indagine complessa considerato che la soccorritrice non aveva risposto né agli appelli dei magistrati, né di Graziella Viviano, la madre di Elena. «Non sapevo nulla, volevo solo dimenticare», ha detto. Per la prima volta poi la dinamica dell’incidente è stata realizzata in 3D. Un metodo d’avanguardia che appunto aveva portato alla conclusione che l’ultimo tratto di strada percorso dalla giovane fosse caratterizzato dalla presenza di una serie di avvallamenti. E che l’asfalto fosse ancor più dissestato di quanto non si percepisse ad occhio nudo. 
 
«Dopo più di un anno, per quanto mi riguarda, siamo alla scoperta dell’acqua calda», dice mamma Graziella che domenica nel campo della Dinamo calcio a Ostia, con la mamma di Noemi Carrozza, la 21enne sincronette morta in scooter sulla Colombo, raccoglierà fondi per la sicurezza delle strade del X Municipio. «Tre ore dopo lo schianto, c’ero anche io sull’Ostiense e ho visto con i miei occhi i dossi causati dalle radici, gli aghi di pino, lo stato vergognoso dell’asfalto - spiega Graziella - documentati anche dalle immagini scattate dal Messaggero con ancora il cadavere di mia figlia a terra. È passato tanto tempo, troppo. Ma almeno ora si partirà da una base granitica. Si andrà verso un processo che vedrà con tutta probabilità dall’altra parte il Comune di Roma. Mi aspetto giustizia e non vendetta e mi auguro che si proceda con dignità, che non si cerchi di dimostrare che Cristo è morto di freddo. Dal cielo arriva un monito: bisogna sistemare quella e altre strade pericolose». 

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