Inchiesta Diabolik: è nel ruolo di Fabrizio Piscitelli come pacificatore, nella sua veste di “broker” per il narcotraffico internazionale che ricopriva insieme con l’amico Fabrizio Fabietti, che gli inquirenti cercano la chiave per arrivare a chi abbia sentenziato la sua uccisione, avvenuta il 7 agosto dello scorso anno nel parco degli Acquedotti, in pieno pomeriggio.
Diabolik, nelle carte il piano di Piscitelli: cercare un appoggio tra i legali
La mediazione con Salvatore Casamonica per porre la pace a Ostia tra gli Spada e il clan rivale capeggiato da Marco Esposito, detto Barboncino, sarebbe solo una delle tante vicende - seppure significativa in quanto il Lido e l’aeroporto di Fiumicino sono da sempre una porta per la droga a Roma - per cui Diabolik, carismatico capo della Curva Nord laziale, si sarebbe speso, sempre nel silenzio dei suoi telefoni criptati. Se Fabietti, intercettato nell’operazione “Grande Raccordo Criminale” della Guardia di Finanza diceva, riferendosi alla droga, «la devo dà a tutta Roma», preoccupandosi di fare arrivare coca e hashish di qualità dal Sudamerica e dai Balcani alla Capitale, il Diablo, stando a chi indaga, avrebbe rappresentato la “garanzia” per concludere gli affari.
Non a caso dopo il summit del 13 dicembre del 2017 al ristorante l’Oliveto di Grottaferrata a cui partecipò anche il suo avvocato, Lucia Gargano, ora ai domiciliari - in cui si parlò oltre che della tregua necessaria a Ostia anche di un carico di coca da fare arrivare via Svizzera - Diabolik sentì “puzza di bruciato” e disse poi alla Gargano che «quando vengono quelli che ti dicono che ti calano la droga con agli aerei... so’ guardie». E sventò la trappola messa in campo dal “francese”, un infiltrato.
IL CONTESTO
I summit a Grottaferrata, almeno tra gli albanesi “amici” di Piscitelli e Fabietti, e Salvatore Casamonica, erano del resto, stando alle intercettazioni di un’altra operazione del Gico, “Brasile low cost”, una prassi che dava la cifra di un «rapporto di collaborazione consolidato in un contesto avviato da tempo», come scriveva il gip. A Roma la pax mafiosa serve soprattutto per non intralciare gli affari milionari messi in campo dai signori della droga in continuo contatto con i fornitori all’estero (narcos di calibro ormai impiantati tra la Spagna, il Centro e il Sudamerica) e finanziatori di rango (le organizzazioni criminali), e non può essere messa a rischio da “beghe” tra clan.
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