Covid Roma, la crisi divora i ristoratori: uno su due pronto a chiudere. «Un danno l’apertura a metà»

Covid Roma, la crisi divora i ristoratori: uno su due pronto a chiudere. «Un danno l apertura a metà»
di Francesco Pacifico
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Lunedì 26 Ottobre 2020, 01:03

Su oltre seimila ristoranti della Capitale la metà ha deciso di non aprire durante il minilockdown annunciato ieri dal premier Giuseppe Conte. «Troppo oneroso - spiega il presidente della Fipe capitolina, Sergio Paolantoni - continuare l’attività fino alle 18, quando il 70 per cento degli incassi si registra la sera». E sempre secondo l’ufficio studi dell’associazione dei commercianti, di questi 3mila che abbasseranno la saracinesca da domani per un mese, almeno un migliaio potrebbero non rialzarla definitivamente. Rischia di essere un duro colpo la decisione del governo, che da oggi permetterà - e per 30 giorni - a bar e ristoranti di lavorare dal lunedì alla domenica fino alle 18. Addio ad aperitivi e cene per gli oltre 18mila esercenti del food e del beverage, che già adesso lamentano un calo degli incassi causato dalla pandemia pari al 30 per cento rispetto a quanto fatturato lo scorso anno. Sempre secondo Fipe-Confcommercio, questo mese a scartamento ridotto costerà a tutto il settore 134 milioni di euro soltanto a Roma, quasi il 7 per cento di quanto perderà il sistema in tutt’Italia. Senza contare le ripercussioni sul fronte occupazionale, perché queste attività danno lavoro a oltre 100mila persone in tutta la Capitale.

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LA PROTESTA

Complice il cielo grigio, ieri i romani non hanno affollato i ristoranti della città.

Alcuni non hanno aperto, impegnati a sistemare e a pulire le cucine e a mettere in sicurezza gli alimenti, visto il lungo stop. Davide Buccioni, titolare di alcuni locali a Prati, in risposta al governo ha fatto sapere via Facebook: «Questa sera (ieri sera, ndr) offrirò ai miei clienti storici la cena. Io, per questo governo, il carne o il pesce non lo butto». Aggiunge Paolantoni: «Mi ha chiamato un nostro iscritto, che ha vari ristoranti e bar all’Eur: mi ha detto, con lo smart working che ha limitato la presenza in molti uffici della zona, che senso ha tenere aperti a pranzo. Così è impossibile recuperare le risorse per pagare i dipendenti e lui ne ha cinquanta». Problema che si pone lo stesso Paolantoni per le sue stesse attività: «Finora ho anticipato io la cassa integrazione, adesso non so se posso più permettermelo». Il 28 la Fipe scende in piazza per chiedere al governo di allungare l’orario di apertura. «Anche perché al ristorante va gente che per lo più vive assieme. Sarà una manifestazione pacifica». Ma già ieri alcuni esercenti si sono dati appuntamento a piazza del Parlamento per protestare. «Presidi spontanei come questi - dice Valter Giammaria, leader romano della Confesercenti -, ce ne saranno molti in questi giorni. Chiudere i ristoranti a cena avrà ripercussione anche sugli altri negozi». Mentre dalla Cna Stefano Di Niola chiede che «i fondi di ristoro arrivino subito e che sblocchino le casse integrazioni». L’assessore capitolino al Commercio, Carlo Cafarotti, vedrà tra oggi e domani le categorie, mentre in Regione stanno studiando se possono ancora una volta fornire liquidità alle aziende in crisi. 

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