Roma, Scorte al market e uscite limitate. «Niente psicosi, ma siamo prudenti»

Un ristorante cinese nel centro di Roma senza clienti
di Francesco Pacifico
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Domenica 23 Febbraio 2020, 21:41
Lombardia e Veneto sono lontane centinaia di chilometri, ma la sindrome da coronavirus a Roma mostra già qualche effetto. Più che nei giorni scorsi quando sono arrivati allo Spallanzani i primi malati. Struscio del sabato pomeriggio, ieri, soltanto nel Tridente. E senza le orde oceaniche tipiche del weekend. Nessuna coda davanti ai grandi musei come quello Capitolino, meno gente al cinema e nei ristoranti, in quanto luoghi chiusi. File invece al supermercato, per comprare acqua, detergenti e mascherine, con questi ultimi due prodotti spariti o quasi dagli scaffali.

«Soltanto negli ultimi giorni - spiega Valter Giammaria, leader della Confesercenti della Capitale - abbiamo registrato nel commercio un calo nelle vendite del 15 per cento. Che oscilla tra il 40 e il 50 per cento degli incassi tra gli esercenti etnici. Certo, scontiamo la riduzione massiccia dei turisti cinesi e dal sudest asiatico, ma anche i clienti italiani comprano sempre meno: riscontro una loro ritrosia a socializzare». Intanto il Comune e l’Atac aspettano dal governo e dalla Regione indicazioni sulle prescrizioni da seguire nei luoghi pubblici. Al riguardo la municipalizzata dei trasporti ha scritto alle istituzioni competenti a inizio mese per chiedere se fornire ai propri autisti le mascherine. Che invece compaiano tra i passeggeri, soprattutto stranieri. Proprio sul fronte dei turisti, Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi Roma, registra «soltanto negli ultimi giorni un calo del 20 per cento delle prenotazioni nei nostri hotel». L’associazione ha calcolato una riduzione delle attività del settore di circa 700 milioni, ma in riferimento a tutte le presenze di asiatici. Già quasi assenti da Roma. Lo ammette Giovanni, direttore di un ristorante dietro Fontana di Trevi: «Le cose potrebbero andare meglio, ma da un paio di settimane non vedo più cinesi, giapponesi, coreani o indiani».
 
Ma nella città semivuota sono i due estremi - meno persone nei cinema a pochi giorni dagli Oscar e la folla ai supermercati – gli elementi che restituiscono meglio la situazione. A Prati un addetto alla biglietteria allarga le braccia: «Siamo alle 18, orario canonico per le famiglie, non ci sono le solite resse. A occhio il numero dei biglietti in questi ultimi giorni è calato tra il 20 e il 25 per cento». Più ottimisti in un’altra sala del centro: «Il calo nelle presenze c’è – dice una maschera – ma non supera il 15 per cento». Nelle casse dei supermercati, invece, le cassiere passano con frenesia soprattutto bottiglie d’acqua e detergenti. Se ci fossero, sarebbe massiccia anche la richiesta di amuchina e mascherine. Ma sono sparite. «Tutta finita», ripetono in via Cesare Baronio, dietro Torre Argentina o sull’Appia in piccole e grande catene. A San Giovanni in uno store di via Matera indicano le bottigliette rimaste e spiegano: «Abbiamo aumentato le scorte». Qualche dipendente però ammette: «Io ho un po’ paura, vado sempre a lavarmi le mani. Le mascherine non ce le fanno mettere, perché sarebbe una discriminazione nei confronti del cliente». Intanto proprio una cliente confessa: «Scorte? In questo periodo conviene comprare un po’ più di roba ed evitare luoghi pubblici».

Dal mondo della grande distribuzione aggiungono che come sale la richiesta di acqua e sapone, crolla invece quella di salsa di soia, sushi e di tutto quello con sapore etnico. Aggiunge Giammaria: «Ben presto, se non si ferma la crisi del coronavirus, ci ritroveremo anche nell’abbigliamento e nell’elettronica senza i prodotti che arrivano dalla Cina. Ai quali la quale la gente è abituata e che magari cercherà di comprare via internet». Ma lo stesso spettro lo temono anche le aziende. «Al di là delle esportazioni verso Pechino, in tutte le nostre lavorazioni - nota Gerardo Iamunno, presidente delle piccola e media imprese di Unindustria - ci sono pezzi provenienti dalla Cina. Le scorte verso aprile finiranno e se per quella data la crisi non sarà rientrata, rischiamo di dover fermare alcuni nostri impianti». Per la cronaca, Mariano Bella, capoeconomista di Confcommercio, ha calcolato nel breve «un contraccolpo per la nostra economia di uno 0,3 per cento di Pil, che quasi sicuramente avrà effetti non dissimili anche sul sistema produttivo del Lazio».
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