Coronavirus Roma, l'odissea di una famiglia: «Mio padre, il cancro e la nostra battaglia con la Asl per i tamponi»

Coronavirus Roma, l'odissea di una famiglia: «Mio padre, il cancro e la nostra battaglia con la Asl per i tamponi»
di Michele Galvani
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Martedì 5 Maggio 2020, 16:18 - Ultimo aggiornamento: 17:47

Francesca ha perso il papà, a soli 59 anni. E' in isolamento nella sua casa romana di piazza Bologna, il suo compagno è da poco risultato negativo, sua madre è positiva e anche suo zio. «Rincorro la Asl per i tamponi, non rispondono o mi risponde gente sempre diversa. Lo sappiamo la sera alle 10 quello che dobbiamo fare il giorno dopo. Passa troppo tempo, io e il mio ragazzo abbiamo avuto un risultato dopo 4 giorni. Nel frattempo lui era guarito: e la separazione tra contagiati?». L'odissea da coronavirus di questa famiglia romana, una famiglia come tante, è la fotografia di una situazione spesso «fuori controllo», dove la rabbia si mescola alla tristezza e, più spesso all'impotenza. «Io metto sotto accusa l'organizzazione, non le persone. Anzi, ai medici dell'Umberto I abbiamo inviato una nota di merito».

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LA STORIA
Il dramma ruota attorno al padre: Paolo, 59 anni, imprenditore, il 10 febbraio ha delle crisi epilettiche: gli riscontrano un «cancro cerebrale» e da quel momento la vita di questa famiglia è tutta in salita: «Mio padre ha iniziato ad avere la febbre intorno al 30 marzo. Da cittadina responsabile quale ritengo di essere - dice la figlia Francesca, avvocato - ho allertato immediatamente la Asl fornendo tutti i nostri dati e recapiti, ho ricercato informazioni attraverso il numero preposto, specificando anche che mio padre fosse un paziente oncologico, e ho avvisato l’ospedale presso il quale mio papà era in cura per le terapie (che sono state immediatamente sospese, dopo essere già iniziate con ritardo proprio a causa del virus). In sostanza, dal 30 marzo in poi, ho contattato ogni giorno il 1500 e la Asl, elencando ogni volta e nel dettaglio i sintomi riscontrati e chiedendo di intervenire con urgenza data la delicatissima situazione di mio papà, il quale, altrimenti, senza un tampone che accertasse la negatività al virus, avrebbe dovuto sospendere le terapie a tempo indeterminato». Il padre continuava «sensibilmente a peggiorare dal punto di vista psico-fisico, ed eravamo tutti convinti che questo dipendesse dall’avanzare della sua patologia. Solo il 6 aprile, grazie a un saturimetro fornitoci da mio zio, ci siamo accorti di quanto fosse critico il livello di ossigenazione di mio papà e lo abbiamo portato d’urgenza – a quel punto con una gravissima insufficienza respiratoria – al Policlinico. Ebbene, il 6 aprile, mio papà mi ha salutato sul pianerottolo di casa per dirigersi al Pronto soccorso e su quel pianerottolo l’ho abbracciato fortissimo nell’intima consapevolezza che forse quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei visto». Poi, la morte.

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LE DOMANDE
Per quale motivo la Asl, in un momento di emergenza nazionale,
«di sabato mattina non risponde a nessun recapito per rispondere a esigenze legate alla salute delle persone (e ho le prove di tutte le mie affermazioni), ma i supermercati e i centri commerciali in condizioni normali devono stare aperti anche di domenica e anche a Natale? I positivi posso stare insieme oppure siccome la negativizzazione varia da persona a persona sarebbe meglio isolarli sin da subito? Ovvero, ancora, i negativi sviluppano gli anticorpi?». Francesca ha perso il papà, non vede mamma Cristiana «dal 6 aprile e non so cosa succederà: fare causa? Sono avvocato, ma ora non sono lucida per fare le giuste valutazioni».
 

 


 

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