Coronavirus Roma, Favino: «Noi eremiti di San Saba, in strada come in un film»

Coronavirus Roma, Favino: «Noi eremiti di San Saba, in strada come in un film»
di Pierfrancesco Favino
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Martedì 21 Aprile 2020, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 10:12

Vivo in una zona di Roma che si è sviluppata anticamente attorno a una piccola comunità di eremiti; ora, con tutto il rispetto per la loro scelta, né io né gli altri abitanti del quartiere seppure grati della tranquillità che lo caratterizza, credo avremmo voluto ripercorrere le loro orme.
 

 


ANGOLI NASCOSTI
Questo ritorno forzato all'origine però ha avuto su di me l'effetto di farmi scoprire angoli del quartiere in cui vivo che non conoscevo.
La mia complice di queste esplorazioni è una bionda longilinea dotata di lasciapassare, Zaìra, Labrador di quasi sei anni che mi consente due volte al giorno l'impunità dal coprifuoco.
Dapprima le nostre erano uscite che ripercorrevano le abitudini del fiuto già battute; dopo poco però, è il caso di dirlo, per evasione, abbiamo lasciato le vie vecchie in cerca di novità, qualcosa che andasse bene per il suo naso ed il mio occhio.

Il giovane chitarrista suona dal Campidoglio, Raggi: «Omaggio di Roma al mondo»



 
 


VIA DI SANTA BALBINA
Ed ecco allora apparire apparentemente dal nulla via di Santa Balbina. Una strada chiusa al termine della quale c'è appunto la basilica paleocristiana da cui prende nome.
Stretta tra due mura, illuminata a sera da lampioni antichi, ha la capacità di trasportarci in un viaggio nel tempo; mentre Zaìra annusa tracce che io credo di altre epoche, immagino pittori cinquecenteschi azzuffarsi sotto quelle luci, carrozze a cavallo trasportare donne nascoste dietro tende rigorosamente chiuse, giovani partigiani cercare riparo dai tedeschi. Senza quasi accorgermene, mentre cammino fantasticando, ecco che ci si apre davanti agli occhi, alla fine del viale, la vista delle terme di Caracalla.

PASOLINI
Lì, giusto dall'altro lato della strada allora sogno stia camminando Pasolini, il fisico minuto e nervoso, gli immancabili occhiali, gli zigomi sporgenti, si avventura adesso solitario come tutti quanti noi e scompare dietro un mandorlo incredibilmente rigoglioso.
Penso che mi manca, che vorrei sentire le sue parole adesso, se stesse vivendo questo momento, ma un gabbiano che urla dall'alto richiama l'attenzione mia e di Zaìra riportandoci alla realtà di un cielo non ancora nero. Nell'aria c'è il profumo di questa primavera scoppiata all'improvviso (e solo parzialmente rovinata da qualche goccia di pioggia), le piante hanno preso il sopravvento, i glicini mordono le ringhiere dei balconi e dei terrazzi a grappoli, i profumi promettono pizze seduti ai tavolini fuori con gli amici, la nostalgia mi assale, non so se Zaìra se ne sia accorta perché mi tira via da questo pensiero e fiuta una nuova traccia.
Su Viale Baccelli passano carri di militari in mascherina e ai bordi della strada noto per la prima volta quelle che dovevano essere delle colonne, ce ne sono cinque o sei, alcune ancora in piedi altre cadute e credo riutilizzate ora come sedute dalle passeggiatrici notturne, il termine nasce dal fatto che mi sento all'improvviso in un film di Pietrangeli. Una troupe immaginaria fa un camera car anni 60 sul viale , aggrappati ad ogni angolo libero di un carrattrezzi, operatori e loro aiuti, elettricisti, macchinisti, fonici, truccatori, parrucchieri, regista e segretaria d'edizione sfidano le leggi dell'equilibrio trainando una spider bianca per un ciak buono e mentre sfrecciando nel sogno una giovane Stefania Sandrelli mi sembra mi abbia sorriso, Zaìra cambia ancora strada, prendendo a destra per viale di Porta Ardeatina.

LA CASA DEL JAZZ
Qui sorpassiamo la casa del Jazz sulla destra e nelle orecchie, come fosse una didascalia, la mia playlist in cuffia mi propone Brad Meldhau.
Ci accompagna al pianoforte verso casa, qui sulla destra Nanni Moretti lasciava la sua vespa per parlare con Jennifer Beals in una delle scene più famose di Caro Diario. Mi sarebbe piaciuto tanto saper ballare....
Lei era davvero bella, penso, ma Zaira se ne infischia e riprende a tirare, sembra non ne possa più delle mie fantasie, ha necessità molto più concrete, la lingua fuori dalla bocca, cerca una fontanella, oramai le conosce e sa dove dirigersi. S'è fatto buio nel frattempo, siamo già fuori da quaranta minuti, l'ultimo istante prima di tornare a casa. L'acqua che scorre dal nasone le bagna il muso e lei è felice tra una lappata e l'altra, rinfrescata finalmente.
Mentre beve alzo lo sguardo sulla facciata del palazzo di fronte. Una targa dice che in quel palazzo ha vissuto gli ultimi anni Vittorio De Sica.

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