Resistere a Roma/ È come stare d'agosto chiusi in casa a Cinecittà

Resistere a Roma/ È come stare d'agosto chiusi in casa a Cinecittà
di Marco Presta
4 Minuti di Lettura
Giovedì 2 Aprile 2020, 08:23 - Ultimo aggiornamento: 08:57
Qui sembra di vivere un Ferragosto precoce, come se la gente avesse voluto avvantaggiarsi per evitare le code sulla Pontina e sulla Cristoforo Colombo. Solo che i romani adesso non sono in riva al mare ad abbronzarsi, ma chiusi in casa ad aspettare che passi. Le strade sono vuote come in una vecchia canzone di Mina, e sì che il mio quartiere, Cinecittà, settimo municipio, ha quasi lo stesso numero di abitanti di Bologna. La Tuscolana sembra un grande fiume in secca, piazza di Cinecittà lo scenario di un film di fantascienza: gli Alieni contro Roma Sud (uno scontro che mi sento di sconsigliare agli Extraterrestri).

Coronavirus, nuovo decreto proroga misure al 13 aprile: stop alle uscite dei bimbi e niente allenamenti

Io abito vicino al parco degli Acquedotti, una bellezza che i Romani possono permettersi di snobbare, abbagliati dall'abbondanza di meraviglie che li circonda: allo stesso modo, negli anni sessanta nessuno notava che Brigitte Bardot aveva anche un bel naso. Eppure, qui spesso si vedono arrivare pullman di turisti giapponesi, che vengono ad ammirare quello che noi, viziati dallo splendore, non guardiamo più. In genere di questi tempi c'è un bel viavai verso il parco, persone che da tutto il quartiere e non solo muovono verso questi 240 ettari di verde, equipaggiate di biciclette, palloni, barbecue portatili. Io mi aspetto sempre di veder qualcuno portare un deltaplano o un pedalò, in un'escalation surreale d'iniziative ludiche. Ora, invece, di questi esploratori suburbani neanche l'ombra. Pure i rumori sono scappati, sento distintamente i passeri sui rami dei pini che baccagliano tra loro, come a dire: «Ma dove cavolo sono finiti tutti?». Dal mio terrazzo guardo la strada, è più pulita del solito e vorrei esserne orgoglioso, poi ricordo il perché: la gente non può uscire a sporcarla. Appostato tra i gerani come la Piccola Vedetta Periferica, riesco a individuare solo due categorie di passanti: gli sportivi e i cinofili. C'è sempre qualcuno in pantaloncini che passa di corsa, si tratta di individui che farebbero qualunque cosa pur di mantenersi in salute, anche beccarsi uno dei virus più pericolosi della Storia umana. Incontro spesso, la mattina alle sei, uno di questi corridori, quando esco per andare a via Asiago. È un tale della mia età, ci salutiamo con un cenno del capo, lui ha un'aria imbarazzata, sembra galoppare inseguito dal senso di colpa.

IN GIRO
Poi ci sono i portatori sani (mi auguro) di cani. Credo che l'attività intestinale dei nostri amici a quattro zampe non sia mai stata tanto seguita, curata, assecondata. Prima della pandemia, Fuffi doveva trattenersi e aspettare che l'umano con cui conviveva trovasse il tempo di portarlo fuori. Adesso le sue capatine alla toilette sono diventate molto più frequenti e rappresentano una liberazione non solo per lui, ma pure per l'umano che lo porta al guinzaglio e che trascorre in casa l'intera giornata. Ieri mattina però ho visto qualcosa di anomalo, d'inatteso. Un uomo stava attraversando la strada: camminava basso come un soldato sotto il fuoco nemico. In mano, però, non aveva un fucile ma un mazzo di fiori. Mi sono sembrati tulipani, una scelta coraggiosa. La fantasia allora ha cominciato a formicolarmi, ho provato a immaginare chi fosse quel tizio e quale storia si nascondesse sotto il suo bouquet. A pensarci bene, il vero interrogativo cui rispondere in quella situazione non era quale intreccio amoroso celasse, ma cosa diavolo avrebbe scritto sull'autocertificazione quel povero disgraziato, qualora le Forze dell'Ordine lo avessero intercettato.
Non so se i carabinieri siano disposti a considerare l'amore come una assoluta urgenza o una situazione di necessità. Sono giornate strane, allarmate: il silenzio di cristallo, la salita del Quadraro priva di traffico, il parco lasciato tranquillo dalle mandrie di iperdinamici che di solito lo occupano. Un segnale mi ha fatto riflettere: ormai trovo normale vedere in giro persone con la mascherina. Del resto, a Roma ne abbiamo viste tante nel corso dei secoli e ci siamo abituati un po' a tutto: Imperatori avvelenati, Papesse e frigoriferi abbandonati sulla Tiburtina. Mentre contemplo il nulla dal mio terrazzo niente utilitarie che passano diffondendo rap a tutto volume dai finestrini aperti né ragazzini che ridono e si spintonano giocando a calcio mi ronza in testa una battuta di Nino Manfredi nel film Girolimoni, dedicato alla figura sfortunata di un uomo accusato ingiustamente di orribili delitti. A un militare che in Questura lo picchia di continuo, Girolimoni-Manfredi dice: «Ne ho passate tante, caporà passerai pure tu». Dico la stessa cosa ai miei concittadini e al resto del Paese: coraggio, ne abbiamo passate tante passerà pure questa.

 
© RIPRODUZIONE RISERVATA