Coronavirus Roma, Pino Strabioli: «Via Giulia, la mia isola e il teatro che non c'è»

Via Giulia (foto FRANCESCO TOIATI)
di Pino Strabioli
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Mercoledì 22 Aprile 2020, 09:20
In questi giorni d'isolamento ho fatto amicizia con suoni e rumori che non consideravo prima. Riconosco le campane hanno il loro momento di gloria ognuna con la propria voce libera dal traffico del Lungotevere e dal passaggio chiassoso dei ragazzi del liceo Virgilio. Sento lo sparo del cannone del Gianicolo, che arriva a mezzogiorno forte e chiaro, e guardo quasi con tenerezza i piccioni appena nati che attraversano la strada con calma per perdersi sotto le macchine parcheggiate da settimane. Riconosco i passi dei cani; la voce di Claudio che, appoggiato a uno spicchio di sole, parla al cellulare; la voce di Bruna che chiama il gatto scappato dalla portineria; sento gli odori buoni di sughi e crostate. Vedo la chiesa di fronte e il profilo della Fontana del Mascherone.
BELLA E DOLENTE
Abito al quarto piano di un antico palazzo e, vista da qui, Via Giulia è più bella di sempre. Ma è un'illusione, una visione letteraria la mia. È un tempo fermo, un quadro. E quando mi accorgo che il caffè è finito, che il cane non scende da troppe ore, o quando mi prende un'improvvisa voglia di sole e pizza bianca, allora mi armo di guanti, mascherina, guinzaglio e scendo. Per quanto antica e bella, Via Giulia vista da sotto soffre come tutte le altre strade del mondo. Non una persona a sbirciare una vetrina, non un drappello di turisti diretto a Ponte Sisto. Un'occhiata al bar, nostalgia del buongiorno di Anna e della sua spremuta, e tutt'intorno vedo soltanto cancelli, inferriate, serrande abbassate, catene e lucchetti. Il teatro dove avrei dovuto debuttare un mese fa è chiuso, come del resto tutti i teatri di Roma e d'Italia. Per gli attori il teatro è l'altra casa, la seconda, per alcuni addirittura la prima. Per me l'OffOff Theatre lo è stato fino al 5 marzo: dovevamo debuttare il 10... So che torneremo a recitare, che riaccenderemo le luci e apriremo i lucchetti, ma non riesco ad immaginare quando. Cammino con Mimma al guinzaglio verso Campo de' Fiori. Sono le undici e mezza e a quest'ora la piazza era abituata a una giostra di suoni e colori. Stamani saremo una trentina, sparsi, soli e distanti. Il forno è aperto: c'è una piccola fila e decido di comprare rosette e piazza bianca. Da qualche giorno hanno autorizzato anche sparuti banchi di frutta e verdura. Puoi avvicinarli rispettando un ingresso e un'uscita, fili di plastica, segni a terra che costringono i tuoi movimenti. Siamo fermi a debita distanza, sai che devi farlo. Compro un cestino di fragole, tre pere mature e scambio due parole con Graziella. Si sveglia alle 4 da più di cinquant'anni e mai avrebbe immaginato una situazione come questa: «Manco la guerra m'ha dato tanta tristezza», mi dice mentre sceglie per me le pere migliori. In queste giornate di silenzio e attesa, durante la mia passeggiata con il cane, ritrovo ricordi sommersi, giorni lontani senza data, nascosti fra le vie di questo quartiere.
Saluto Graziella, attraverso la piazza, m'infilo per Via dei Cappellari, ne percorro un tratto, volto a sinistra e imbocco Via di Montoro, una viuzza breve. I falegnami sono chiusi, non una voce. Ecco il cannone del Gianicolo, è mezzogiorno e da una finestra una radio accesa trasmette la voce di Diodato. Alzo lo sguardo e penso che in questo palazzo abitava Laura Betti. Un giorno di tanti anni fa capitai in casa sua, era una caldissima giornata di luglio ed io ero eccitato all'idea di vedere da vicino la grande amica di Pasolini, l'attrice di Novecento di Bernardo Bertolucci. La trovai seduta in cima ad un lungo tavolo a succhiare un blocco di ghiaccio da una bottiglia di plastica. Della conversazione non ricordo quasi nulla, nemmeno la pietanza che mangiammo. Di lei resta l'immagine come di una regina spettinata e dolorosa.
GLI INCONTRI
Ecco un altro indirizzo che mi riporta qui e alla mia giovinezza: Via dei Pettinari. Al 75, abitava Dario Bellezza. Mi faceva entrare in quelle sue stanze odorose di pipì di gatto, lo rivedo seduto allo scrittoio davanti a una finestra aperta, e mi sembra di risentire il ticchettio delle sue dita sulla verde Olivetti, una vecchia macchina da scrivere. Nell'attesa che tutto torni com'era, mi aggrappo a queste memorie sparse. Fu proprio Dario a regalarmi un libretto di poesie che sulla copertina portava un nome a me sconosciuto: Sandro Penna. Abitava vicino alla chiesa dei Fiorentini, che è esattamente all'inizio di Via Giulia. Lui non l'ho conosciuto, ma so che nell'ultima parte della sua vita non usciva per scelta, anche se qualche volta si faceva accompagnare a guardare il tramonto da punti diversi della città. C'è un suo verso che ripeto spesso: «Io vivere vorrei addormentato entro il dolce rumore della vita». I rumori in questo isolamento sono più dolci di qualche settimana fa, ma non possiamo certo dire la stessa cosa della vita che siamo costretti a vivere in questi giorni.
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