Coronavirus, Claudio Strinati racconta il suo rione: «Com'è dolce assaporare il silenzio al Colosseo»

Coronavirus, Claudio Strinati racconta il suo rione: «Com'è dolce assaporare il silenzio al Colosseo»
di Claudio Strinati
3 Minuti di Lettura
Lunedì 27 Aprile 2020, 12:10

Per anni uscendo dal portone di casa ho preso a sinistra e sono sfociato sulla piazza del Colosseo. Abito in Via Capo d’Africa che è a un passo da lì e questo nome mi ricorda la Roma onnipresente. Qui c’era veramente il “Caput Africae” antico dove gli africani erano acquartierati, atleti formidabili come sono adesso. Davanti al Ludus Magnum c’è il bancomat del Monte dei Paschi di Siena dove ogni tanto prelevo qualcosa. Come fu glorioso e come si è ridotto! Anche i gladiatori, quelli veri, non ci sono più e nemmeno quelli finti, mi sembra. Attraverso gay street che è il primo pezzetto dello stradone di San Giovanni fino a due mesi fa brulicante di gente.

Il Colosseo non mi piace strapieno di turisti. Da piccolo entravo al Colosseo ogni tanto, come alle Terme di Caracalla, senza pagare niente. Ce lo potevamo permettere dato che avevamo scarsa cultura museale. Mentre me ne allontano in un silenzio non così spiacevole penso che per costruirlo fu cancellato un ennesimo pezzo della Domus Aurea di Nerone. C’era un laghetto lì. Guardo l’Arco di Costantino che è a pochi metri dal Colosseo. Passando nei paraggi notavo come quelli in fila per entrare al Colosseo nemmeno lo guardano l’Arco che sta accanto a loro. Lo osservo tutti i giorni, non riesco a coglierne il significato e poi vado a San Clemente.

Coronavirus Roma, Favino: «Noi eremiti di San Saba, in strada come in un film»

Da queste parti hanno lo Studio tanti amici miei pittori, alcuni vivi altri morti ma oggi come oggi cambia poco. Uno mi era tanto caro, Corrado Bonicatti. Ci incrociavamo spesso per strada e lo rivedo che mi viene incontro per via Celimontana e dice bisogna che stiamo un po’ più insieme. Ma adesso guardo il portone di San Clemente che è mezzo scalcagnato. Quando entravo, ero solito scendere nella chiesa sotterranea, alle origini della cristianità e gli affreschi antichissimi sono una favola. Ma l’approdo è ai Santi Quattro Coronati. Da San Clemente basta spostarsi pochi metri e se ne vede l’abside.

Roma, lo scrittore Yari Selvetella: «Centocelle alla finestra per l’addio a mio nonno»

Santi Quattro non è però soltanto una chiesa con tanto di convento e biblioteca. È un Castello medievale che incombe sulla via. Dista poco dal Colosseo e si racconta che Stendhal passasse a cavallo da queste parti per scorrazzare nella campagna romana che cominciava lì. Il Castello era ed è come un relitto di un passato remotissimo rimasto indenne a aspettarci. Un’arca di Noè sul monte Ararat. Mi incammino per una salitella un po’ tosta. Ci vogliono forse cinquanta passi e sono sulla sommità. Intorno si vedono solo officine di carrozzeria e riparazione auto, proprio come quelle di una volta, forse negli anni sessanta. Ma è mai possibile che il più eccelso monumento medievale del mondo sia circondato dai carrozzieri e dai meccanici? Me lo chiedo sempre e sempre mi rispondo: sì. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA