Coronavirus, il coach Valerio Bianchini racconta Monte Mario: «Campi di basket vuoti al don Orione»

Coronavirus, il coach Valerio Bianchini racconta Monte Mario: «Campi di basket vuoti al don Orione»
di Valerio Bianchini
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Domenica 26 Aprile 2020, 10:58

Non ricordo di essermi mai annoiato nella mia vita e per la verità neanche il coronavirus è riuscito nell’impresa. Inoltre restando a casa dopo che il basket mi ha fatto girare il mondo per una vita, ho scoperto alcune insospettabili funzioni che avevo sempre trascurato. Come ad esempio le pulizie di casa. Abbandonati dai nostri collaboratori domestici, noi superstiti di famiglia numerosa, io, mia moglie Marina e mia figlia Camilla ci dividiamo i gravosi compiti. Io mi sono assegnato la pulitura dei pavimenti e a buona ragione. Quando nel 69’ ( Banca dell’Agricoltura) approdai in divisa di aviere all’aeroporto di Vigna di Valle, dove avrei svolto il servizio come allenatore della squadra di basket delle Forze Armate, una delle mission più importanti del mio gruppo di soldati-atleti consisteva nello spazzare il campo di basket, situato entro un hangar in disuso.

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Una superficie piuttosto vasta che inizialmente i giocatori di basket affrontarono con una discreta cialtroneria. Fu allora che un maresciallo di energico temperamento, irruppe sulla scena gridando a squarciagola: «Fate li mucchietti!», con la veemenza di chi stesse per lanciare alla carica il 7° Cavalleggeri. Fu una lezione fondamentale di metodo e di filosofia di vita. A cinquanta anni di distanza mi è riapparso quell’addestramento come prezioso in tempo di virus e non riesco a capacitarmi come abbia potuto ignorarlo per tanti anni. Sta di fatto che ormai ho l’occhio altamente esercitato come quello di un cacciatore di colibrì e riesco a vedere lo sporco negli anfratti più remoti dell’appartamento. Con sprezzo del pericolo mi assumo anche il compito di acquistare i giornali e fare la spesa.

È una sfida bella e buona a coloro che vorrebbero segregare in casa gli ultrasessantenni per sempre, dopo averne sterminati un buon numero nelle case di riposo (eterno). Ecco allora che le mie donne mi aiutano a indossare scarpe, guanti e mascherina in un rituale che non ammette deroghe . I guanti mi rendono assai maldestro, ma quel che mi danneggia seriamente è la mascherina. Per quelli con gli occhiali come me, ogni espirazione comporta la totale cecità dovuta all’appannamento delle lenti, lasciando poi riapparire il mondo ad ogni inspirazione. Fortuna vuole che Nazmul sia proprio sotto casa. Nazmul è la nostra salvezza. Nella sua bottega provvede a un numero incredibile di alimentari e casalinghi vari, risparmiandomi la code chilometriche dei supermercati.

Nazmul è di Dacca in Bangladesh e con lui ho un’intesa speciale perché nel mio girovagare mi sono fermato una decina di giorni in quella affascinante città piena di colori e di odori, per insegnare basket agli allenatori locali. Per dieci giorni non ho visto l’ombra di una birra, per via della loro stretta osservanza del Corano, mentre Nazmul ne è rifornitissimo e anzi ti dà consigli sul vino migliore, che mi guardo bene dal seguire. Questo mi riconcilia con le religioni. Quando torno in casa, prima di dedicarmi come Macchiavelli alle mie letture preferite, devo affrontare mia figlia Camilla che, nei rari momenti in cui non è al telefono col fidanzato, essendo attrice, mi sottopone i suoi corposi monologhi, forieri di futuri successi teatrali.

Sui dialoghi le cose sono meno semplici perché a volte mi tocca supportarla recitando le parti maschili. Sono sempre in dubbio se abbracciare la tecnica di Vittorio Gasmann o quella di Salvo Randone ai tempi in cui si scambiavano le parti di Otello e di Jago. Il risultato è sempre uguale, quello di un terribile trombone. Finalmente, soddisfatte le esigenze creative di Camilla, mi siedo sulla mia poltrona preferita e mi dedico alla lettura. Voglio precisare , a scanso di equivoci, che cerco caparbiamente di stare alla larga dalle letture di sport, dopo che il campionato di basket è stato cancellato sul più bello come un molesto coitus interruptus. Mi dedico perciò alle letture tipiche di quel velleitario, dilettante di varia cultura quale sono.

Certo mi mancano in modo selvaggio le vasche numerose e frequenti che mi concedevo sguazzando nella piscina dell’Aquaniene. Abitando alla sommità di Monte Mario ho fatto qualche tentativo di passeggiata nell’area sportiva del Don Orione, ma vedendo quel ben di dio di campi sportivi desolatamente vuoti mi ha preso uno spleen decadente che neanche Baudelaire averebbe compiutamente descritto. Preoccupato per il ben più pericoloso decadentismo della mia forma fisica, sono salito in soffitta e ho recuperato la cyclette che usava mia suocera negli anni Ottanta. Ne ho constatato il funzionamento essenziale, l’ho posizionata davanti al televisore e ogni sera alle 18 la inforco mentre sta cominciando il mio programma preferito su Rai Storia condotto da Paolo Mieli. Intanto per la casa si diffondono gli odori della cucina dove regna la sora Marina che da attrice di teatro si è riconvertita in ottima cuoca. 

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