Roma, «In esilio a corso Trieste la spesa diventa fiction»

Piazza Istria a Roma
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Giovedì 16 Aprile 2020, 11:11

Il Quartiere Trieste è la mia Sant’Elena. Qui, tra pini pericolanti e palazzi fascisti, meticolosi smerdatori di marciapiedi e autoraduni di macchinine acchittate, mi ha sorpreso la quarantena. Un quartiere che di solito è già in quarantena di suo, dove la differenza tra la vita “normale”, quella del mondo prima della fine del mondo, e quello distopico da Covid-19 è più sfumata che altrove. 

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Trieste solitario y final mi metto alla finestra dello studio dove lavoro. Tra una riunione su Skype e una pagina di sceneggiatura, guardo il serpentone della gente in coda per entrare al Carrefour neanche fossi davanti all’ultima puntata di Breaking Bad su Netflix. Solo che non si può skippare alla stagione successiva, per accaparrarsi un ovetto e una mozzarella bisogna vedersi tutti gli episodi. La fila punteggia la strada e svolta dietro l’angolo. Ho studiato i flussi, attendo solo il momento propizio - quando nella quiete glicemica del dopo pranzo la fila si dirada - per gettarmi come un falco al saccheggio degli scaffali. 

Qualche giorno fa, mentre alla cassa svuotavo il carrello cercando di rimettere la spesa nello zaino, una signora sui settanta con indosso un vecchio cappotto sformato e degli zoccoli da dentista ai piedi mi ha rubato 2 etti di San Daniele. Giuro. Mi sono voltato e il prosciutto non c’era più: l’ho guardata senza il coraggio di dire niente, lei ha abbassato gli occhi e con passi piccoli e saltellanti, come un goblin è sparita nella luce accecante della primavera. 

Dal Quartiere Trieste, parallela alla macabra curva dei contagi, ho visto appiattirsi e inabissarsi quella dell’entusiasmo. Dice il Maestro zen: siediti sul ciglio della quarantena e aspetta. Prima o poi vedrai passare il cadavere del flash mobber. E così è stato.

Nelle prime eroiche giornate contro l’invasore venuto dalla Cina il morale dei romani era alto: si improvvisavano tornei di paddle in cortile, si portavano sdraio e teli sui terrazzi condominiali che nemmeno a Coccia di Morto. Si accendevano candele ai davanzali per ricordare le vittime, si appendevano striscioni per omaggiare gli eroi e si dipingevano arcobaleni con scritto “andrà tutto bene.” Ma non andava bene manco per niente. Le giornate sfilavano una dietro l’altra, tutte uguali e tutte diverse, come macchine sotto un cavalcavia. Per ingannarle si chiamavano persone tumulate da anni nelle nostre rubriche, si facevano cambi di stagione, lavoretti domestici che un mese fa avremmo affidato al rumeno di turno. 

Poi, crostata dopo crostata, muffin dopo muffin, lezione di yoga dopo lezione di yoga, ci siamo lentamente scaricati, come le batterie dei nostri iphone a fine giornata. Giorno dopo giorno, mentre rallentava il ritmo frenetico dei video da condividere in chat, ho visto capitolare il sovranista con Va’ Pensiero in balcone e il patriota con Toto Cotugno al davanzale, il ragazzetto con i Thegiornalisti sull’abbaino e la Milf con Venditti a palla tra i gerani. Tutti caduti sotto i colpi della noia, tutti arresi allo sconforto.
Là fuori un sole beffardo a splendere sui tetti di Roma, qua dentro noi, piante di serra davanti a computer e cellulari, a sperare che il vicino non fosse un asintomatico. E alla tv e sui giornali virologi e politici ad avvertire che sarà così per mesi, anni, secoli.

A quel punto e solo a quel punto, quando abbiamo esaurito il toner per stampare le autocertificazioni, quando abbiamo rimpianto di non aver preso il cane, di aver fatto troppi figli o pochi o per niente, quando abbiamo realizzato di avere una casa troppo piccola per una famiglia numerosa o troppo grande per un single, quando ci siamo pentiti di aver litigato con la fidanzata per scegliere il film da vedere sul divano e ci siamo ritrovati soli al pc con una finestra su Pornhub e l’altra sul sito dell’INPS, a quel punto e solo a quel punto, ci siamo ricordati di essere vivi e di quanto ci manca la vita. 

Ed è per questo che ne verremo fuori. Con guanti e mascherine, ma ne verremo fuori. Perché come dice il prof.

Walter White ai suoi studenti dopo un disastro aereo: «People move on, just move on». Sono fatti così gli esseri umani, superano tutto e vanno avanti. Coraggio ragazzi, tra due mesi nuoteremo di nuovo tra le onde del mare.

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