Comune, fronda dei consiglieri M5S sul “mandato zero”: «Non lo votiamo»

Comune, fronda dei consiglieri M5S sul “mandato zero”: «Non lo votiamo»
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Giovedì 25 Luglio 2019, 11:20
Arriva prima Achille o la tartaruga? È con il paradosso di Zenone – scomodando per un attimo la Filosofia – che molti dei consiglieri grillini in Campidoglio commentano l’annuncio del vice premier, Luigi Di Maio, in merito al cosiddetto “mandato zero”: la deroga al vincolo dei due incarichi per chi ricopre il ruolo di consigliere comunale o municipale. Il tono è serio quando uno degli eletti M5S in Assemblea Capitolina spiega il motivo. «Lo possiamo chiamare il mandato di Zenone – dice – il primo mandato vale uno, ciascun mandato successivo vale la metà di quello precedente, il secondo vale mezzo, il terzo vale un quarto e così via... Il limite, però, continua a restare di due mandati quindi, come avviene per Achille, si dimezzerà a ogni mandato la distanza dal limite massimo, ma non lo si raggiungerà mai e quindi si procede all’infinito». Insomma, altro che opportunità servita su un vassoio d’argento. Sembra quasi l’annuncio di una tortura senza fine. Specie alla luce della non ricandidabilità della sindaca, che pone una data di scadenza su questa esperienza politico-amministrativa. In molti si sono sentiti chiedere: «Che fate, vi ricandidate in Comune?». La replica? «Scherziamo? Non ci penso proprio». Per una dozzina di loro il “mandato zero” non varrà in quanto sono stati già eletti, prima che in Comune, nei Municipi. Per loro però si potrebbero aprire – laddove volessero – le porte di Parlamento o Regione. È il caso di Donatella Iorio che però non vuole neanche pensarci: «Per carità, già sarà un finale complicato», dice dal suo scranno in Aula Giulio Cesare.
«Di Maio faceva prima a chiamarlo terzo mandato – commenta Carlo Chiossi, salendo a Palazzo Senatorio – la verità è che noi attivisti non siamo preparati quando veniamo eletti e quindi se io, ma soprattutto altri colleghi qui da più tempo, facciamo un passo indietro, ci si troverà sempre con un Movimento che, a livello locale, prima di fare deve studiare perché gli eletti non sanno». Quindi è un modo per evitare di avere perennemente una classe governativa di impreparati? «È un modo – conclude Chiossi – di convincere quelli che ci sono, e sono alla loro prima esperienza, a non lasciare il posto ad altri che non sanno fare e che rischierebbero di lasciare il Movimento così». Impaludato. Poi ci sono anche i più intransigenti, i “duri e puri” della prima ora, come Pietro Calabrese che tuona: «Io voterò “no”, (non sarà l’unico). La regola dei due mandati era un caposaldo del Movimento e non doveva essere messa in discussione». Ma il gioco della politica certi scherzi li fa: le carte in tavola cambiano quando la partita è già iniziata.
In un clima, poi, che – almeno su Roma – non è dei più sereni. Proprio nella maggioranza cinquestelle, che già ha avuto diverse “defezioni”, ne potrebbero arrivare delle altre. Dopo le dimissioni di Cristina Grancio, almeno altre due consigliere – Monica Montella e Gemma Guerrini – che non nascondono le critiche al “modus operandi” della giunta Raggi potrebbero decidere di fare un passo indietro. Caso a sé quello del consigliere Enrico Stefàno che in un’intervista a Il Messaggero, dopo le dimissioni da presidente vicario dell’Aula, non nascose valutazioni sprezzanti sulla maggioranza. Non è detto che arrivi a chiudere il suo secondo mandato.
 
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