​Comunali, «coalizione per Roma»: così Di Maio gela Raggi. Calenda: serve chiarezza

Comunali, «coalizione per Roma»: così Di Maio gela Raggi. Calenda: serve chiarezza
di Lorenzo De Cicco e Francesco Malfetano
4 Minuti di Lettura
Sabato 31 Ottobre 2020, 22:30 - Ultimo aggiornamento: 1 Novembre, 12:04

Sembrava quasi una sentenza definitiva: senza una coalizione con il Pd a Roma «finisce come le regionali e non andiamo da nessuna parte». Però ieri Luigi Di Maio, intervistato alla festa del quotidiano Il Foglio, si è esibito nel più classico dei cerchiobottismi ed ha preso ancora tempo in vista degli Stati Generali che si terranno il prossimo fine settimana. 
Con un esercizio di stile notevole infatti, appena prima di scaricare Virginia Raggi, sulla cui ricandidatura pesa proprio il veto dei dem, il ministro degli Esteri ha anche annunciato di esserle favorevole: «Io non voto a Roma, Virginia ha il mio sostegno e penso che lei abbia fatto il meglio possibile in condizioni difficili», ha dichiarato. “Nulla di personale ma è meglio se per ora ti fai da parte” è in pratica il messaggio in codice recapitato all’inquilina del Campidoglio da Di Maio. 

LEGGI ANCHE --> Covid Roma, Raggi a governo: «Hotel per gli asintomatici, così si evitano cluster familiari»

«Abbiamo il dovere di costruire una coalizione di governo nei cinque capoluoghi più importanti», ha infatti aggiunto, riferendosi oltre che a Roma alle altre amministrative che terranno banco nel 2021 e vedranno protagonisti dem e cinquestelle a Milano, Bologna, Napoli e Torino. «Insieme riusciremo a governare le città - ha chiosato l’ex capo politico dei grillini - divisi è più difficile». E ancora: «Apriamo il dibattito sui temi e sui programmi, poi arriviamo ai candidati».

La sola certezza quindi, a fronte di questo «dovere», è che il nome giusto per un’alleanza ancora non c’è.

Con il Pd diviso sulle primarie - che in assenza di una visione e di nomi di peso rischiano di riconsegnare la città ad una certa politica romana che conserva i retaggi clientelari di un tempo - e con i cinquestelle alla ricerca di un difficile equilibrio interno, in questa fase la chiarezza non conviene ai due partiti. Troppo presto per esporsi. Il rischio è che i possibili candidati si brucino velocemente. 

Lo sa anche Carlo Calenda, il leader di Azione che invece ha provato la mossa opposta per scompigliare le carte dei dem prima che queste venissero mischiate a quelle dei 5S, annunciando la sua candidatura due settimane fa e aprendo, dopo giorni di scontri, anche ad un’eventuale partecipazione alle primarie ma con una sola condizione: l’ipotesi di una coalizione giallo-rossa deve tramontare definitivamente. «Le dichiarazione di Luigi Di Maio su Roma sono criptiche quasi quanto quelle del Pd - ha cinguettato ieri pomeriggio dal suo account su Twitter l’ex ministro dello Sviluppo Economico -. Sembra un corteggiamento ottocentesco. Mezze frasi, passi avanti e ritrosie. Una parola chiara. Per Roma. Grazie». 
Oltre a quella più o meno ironica di Calenda però, le parole nette ma non troppo di Luigi Di Maio hanno portato anche ad altre risposte dal fronte capitolino del M5S. Se Virginia Raggi e i suoi infatti preferiscono non commentare («Pensiamo a lavorare. Soprattutto ora che emergenza e crisi per il Covid mordono») i consiglieri ribelli esultano. «Di Maio afferma le stesse cose che noi dicevamo da mesi: prima vengono i temi» commenta infatti Enrico Stefano, presidente della Commissione Trasporti del Campidoglio e capofila dei dissidenti del M5S all’interno dell’Assemblea capitolina. Un gruppo che, oltre a far ballare la maggioranza sugli scranni dell’Aula Giulio Cesare, da tempo prepara un candidato alternativo a Raggi per le comunarie 5S. «Raggi - dicono i ribelli - non ha un’investitura per una corsa bis, da statuto dobbiamo comunque passare dai militanti».

Non solo. Nel pantano sulle candidature per ora è finito anche il centrodestra. La Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia dopo un incontro due settimane fa in cui hanno vagliato una ventina di possibili candidati, ancora non hanno trovato il nome giusto. Matteo Salvini preme perché si tratti di un civico come confermato ieri anche da Giancarlo Giorgetti («Imprenditori, magari alti funzionari, ci sono dei nomi che hanno dato la disponibilità su cui si sta arrivando al risultato»), Giorgia Meloni vedrebbe di buon occhio un politico di professione. Silvio Berlusconi invece, connesso con Antonio Tajani al vertice, ha riportato in auge un suo vecchio cavallo di battaglia: Guido Bertolaso. Anche in questo caso però, oggi la sola certezza è che non c’è un accordo o un programma, né la prospettiva di raggiungerlo o impostarlo a breve. E Roma, si sa, meriterebbe di meglio.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA