Cerciello, l'imputato racconta: «Coltellate con due mani, così l'ho ucciso»

Cerciello, l'imputato racconta: «Coltellate con due mani, così l'ho ucciso»
di Giuseppe Scarpa
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Martedì 2 Marzo 2021, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 02:07

«Quando ho sentito le sue mani sul collo ho preso il coltello e l’ho colpito per togliermelo di dosso». Un’ora di dichiarazioni spontanee a processo in cui ha raccontato come ha assassinato un militare dell’Arma. Sessanta minuti in cui Finnegan Lee Elder, l’americano accusato dell’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, ha esposto nel dettaglio ciò che accadde la notte del 26 luglio del 2019. Quando in via Pietro Cossa, quartiere Prati, uccise un carabiniere di 35 anni con undici coltellate. A differenza del suo amico, connazionale e coimputato Gabriel Natale Hjorth, Elder, 21 anni, non si è sottoposto all’esame di giuria, pm e avvocati. Ha scelto la via delle dichiarazioni senza dover rispondere ad alcun quesito. Ecco ciò che Elder ha detto a dibattimento a partire dal momento in cui ha lasciato la stanza dell’hotel a 4 stelle Le Meridien in via Federico Cesi. I due americani avevano appena subito una “truffa” da parte di due spacciatori che al posto della cocaina gli avevano rifilato un’aspirina grattugiata. Per tutta risposta gli statunitensi avevano rubato lo zaino di uno dei due pusher con il cellulare all’interno. L’incontro sarebbe servito a riottenere i soldi della droga o in alternativa della vera cocaina e in cambio restituire la borsa agli spacciatori. Non sapevano i californiani che uno dei pusher aveva telefonato ai carabinieri denunciando il furto dello zaino e che quindi all’incontro sarebbero arrivati i militari dell’Arma, Cerciello Rega e Andrea Varriale.

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IL RACCONTO

Dall’hotel Elder esce armato: «Quando ho lasciato la stanza ho messo il coltello nella tasca della mia felpa. Avevo una sensazione di paura e ansia per dover incontrare uno spacciatore che poteva arrivare con i suoi amici. È stata una mia decisione e non so se Gabriel ha visto ciò che stavo facendo». Pochi minuti dopo i due americani sono di fronte a due persone: «In un attimo si sono girati e si sono avventati su di noi senza dire una parola, senza qualificarsi come poliziotti», ha sottolineato Elder discostandosi, in parte, dalla versione offerta da Natale Jorth secondo cui Varriale si sarebbe identificato dopo la colluttazione. L’americano prosegue e riferisce nei dettagli come ha sferrato le 11 coltellate al vicebrigadiere: «L’uomo più grande (Cerciello Rega, ndr) era una montagna, mi ha buttato per terra e ha messo il suo peso su di me. Ero con la schiena sull’asfalto, ricordo le sue mani sul petto e poi sul collo con una pressione come se stesse cercando di soffocarmi mentre tentavo di divincolarmi. Ho provato panico e ho pensato volesse uccidermi. Perciò istintivamente ho preso il coltello e l’ho colpito per togliermelo di dosso. Non pensavo a nulla ero solo terrorizzato. È durato tutto pochi secondi. Ho avuto l’impressione che stesse cercando qualcosa. Dopo alcuni colpi mi ha afferrato la mano dove tenevo il coltello e ha cercato di rivolgerla verso di me. Ho cambiato mano e ho continuato a colpirlo. La mia volontà era liberarmi dal peso di quella persona».

Elder ci riesce e scappa mentre Mario Cerciello Rega muore dissanguato in pochi secondi. E infine il tentativo di difendersi: «Non ho mai pensato che un pusher potesse chiamare la polizia. Negli Usa non accade». I due americani fuggono in albergo. Un paio d’ore dopo li arrestano: «Quando mi hanno portato in caserma ho sentito delle persone che urlavano e mi hanno sputato. Non sono stato trattato nel modo giusto ma oggi ammetto che posso capire i colleghi di Cerciello; un loro amico era appena morto e la loro reazione è umanamente comprensibile».

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