Centrale del latte, guerra legale: ora torna al Comune di Roma, Parmalat dovrà “restituire” al Campidoglio 41 milioni

Parmalat restituirà il 75% delle quote che torneranno di proprietà pubblica

Centrale del latte, guerra legale: ora torna al Comune di Roma, Parmalat dovrà restituire al Campidoglio 41 milioni di euro
di Valeria Di Corrado
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Giovedì 12 Maggio 2022, 08:04 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 03:17

Parmalat dovrà restituire immediatamente al Campidoglio il pacchetto azionario di maggioranza di Centrale del Latte di Roma. Lo ha deciso la prima sezione civile della Corte d'Appello di Roma, nell'ultimo capitolo di un contenzioso che si trascina ormai da 23 anni. Secondo il collegio di giudici presieduto da Ettore Capizzi, la società oggi controllata dal gruppo francese Lactalis deve rendere all'amministrazione comunale guidata dal sindaco Roberto Gualtieri la sua quota nella Centrale del Latte, pari al 75% del capitale, e i dividendi distribuiti dal 2005 (cioè da quando è entrata in possesso di quel pacchetto azionario) al 2012, pari a oltre 41 milioni, oltre a interessi e rivalutazione.
L'EXCURSUS
Nel 1996 il Campidoglio delibera di privatizzare l'Azienda Comunale Centrale del Latte. Viene pubblicato un avviso per la manifestazione d'interesse, che vincola l'acquirente a «non cedere le azioni per un periodo non inferiore a cinque anni». Si fanno avanti cinque imprese, tra cui Ariete Fattoria Latte Sano spa, Cirio spa e Parmalat spa. Alla fine, è Cirio a comprare per 80 miliardi di lire il 75% della partecipazione azionaria nella neo costituita Centrale del Latte spa.

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La guerra legale del latte comincia nel 1999, quando la Cirio di Sergio Cragnotti conferisce quella partecipazione nella Eurolat spa, che poi la vende a febbraio 1999 alla società Dalmata Due, controllata dalla Parmalat di Callisto Tanzi. Un'operazione che vìola quindi il divieto di vendita infraquinquennale delle azioni previsto dalla gara indetta con delibera n. 12 dell'8 luglio 1996. Tanto che lo stesso Comune di Roma, a luglio 1999, prova a correre ai ripari, stipulando un atto transattivo assieme a Cirio, Eurolat e Parmalat, senza però riuscire a sanare l'illegittima cessione.
Nel 2000 la società Ariete - tra le escluse dalla gara e dall'atto transattivo - «dopo aver inutilmente diffidato Roma Capitale ad attivarsi in autotutela per sanare effettivamente la violazione del divieto di vendita infra quinquennale della partecipazione - si legge nella sentenza pubblicata lo scorso 13 aprile - adiva il giudice amministrativo».
TRA E CONSIGLIO DI STATO
Il 27 luglio 2007 il Tar del Lazio, con sentenza confermata in appello dal Consiglio di Stato, stabilisce la nullità sia della gara del 1998 sia della successiva transazione del 1999, accogliendo il ricorso di Ariete Fattorie Latte Sano.

Non solo, nel 2012 il Consiglio di Stato - sulla scorta di un giudizio di ottemperanza proposto dalla società esclusa sulle precedenti sentenze emesse dai giudici amministrativi - intima nuovamente a Parmalat di restituire quel 75% di azioni al Comune.

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Una gatta da pelare che da Tanzi è passata all'allora ad Enrico Bondi, fino alla nuova gestione di Parmalat, sotto il controllo del gruppo francese Lactalis. Per bloccare gli effetti delle pronunce amministrative, scatta il ricorso civile. Il 18 aprile 2013 arriva la sentenza di primo grado: per il Tribunale di Roma la sottoscrizione da parte di Parmalat dell'atto transattivo è in contrasto con il principio della «buona fede» del terzo acquirente e pertanto Roma Capitale è l'unica proprietaria del 75% del capitale sociale di Centrale del Latte spa e Parmalat è condannata all'immediata restituzione delle azioni.
L'impugnazione non ha un risultato migliore. Il 13 aprile scorso la prima sezione civile della Corte d'appello rigetta il ricorso di Parmalat, confermando che deve restituire il 75% delle quote di Centrale del Latte al Campidoglio. Inoltre, i giudici condannano la società a restituire tutti i dividendi distribuiti dal 2005 al 2012. La sentenza è immediatamente esecutiva, anche se Parmalat ha intenzione di presentare ricorso alla Corte di Cassazione.
 

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