Tivoli, svolta sul caso Giachetta, trovato morto a 25 anni con la gola tagliata: «Ipotesi omicidio»

Tivoli, caso Giacchetta svolta degli inquirenti: «L'ipotesi è omicidio»
di Massimo Sbardella
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Martedì 21 Luglio 2020, 10:48 - Ultimo aggiornamento: 10:52

Svolta nel caso di Marco Giacchetta, l'operatore ecologico venticinquenne di Cave uscito di casa il 16 settembre 2015 e ritrovato morto, cinque giorni dopo, in un campo a Colle Palme con la gola tagliata da un collo di bottiglia. Per gli inquirenti che indagarono si trattava di suicidio e per ben due volte la Procura di Tivoli ha archiviato il caso come «atto volontario». Ma la mamma della vittima, Elisabetta Rocca, non si è mai data per vinta e, finalmente, ora può sperare, perché il capo della Procura, Francesco Menditto, ha deciso di riaprire il caso, indagando per omicidio contro ignoti. A modificare il corso della vicenda giudiziaria sia le indagini difensive, con cui l'avvocato della famiglia, Giuseppe Cinti, ha raccolto elementi e testimonianze importanti, sia la dettagliata perizia medico legale del professor Vittorio Fineschi (il medico legale del caso Cucchi).

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GLI ELEMENTI
In particolare, il professor Fineschi, ordinario di Medicina Legale all'Università La Sapienza di Roma e responsabile del relativo reparto del Sant'Andrea di Roma, conclude la propria perizia sottolineando come sia da «rifiutare categoricamente l'ipotesi di un evento suicidario mentre esistono chiare evidenze, tra loro convergenti, a suffragio di una condotta omicidiaria, volontaria, da parte di terzi». Ad indurre il capo della Procura Menditto ad approfondire il caso, probabilmente, anche alcune contraddizioni emerse in questi anni. 

Clamoroso, secondo i legali della famiglia, il fatto che sul prato, intorno al corpo di un ragazzo morto dissanguato, non sia stata trovata una goccia di sangue, «mentre afferma la mamma Elisabetta Marco aveva i vestiti e la suola delle scarpe intrisi di sangue». «Senza contare aggiunge la donna le sospette ferite da arma da taglio sulle braccia e tra le dita che, all'inizio, erano state considerate una sorta di prova che mio figlio avrebbe fatto su stesso prima di affondare il colpo alla gola. Inspiegabile, infine, come sia possibile che il collo della bottiglia, con cui Marco si sarebbe ucciso, potesse trovarsi a ben sette metri di distanza dal corpo, anche questo privo di sangue e senza alcuna impronta digitale del ragazzo».

IL RACCONTO
«Per cinque anni lamenta Elisabetta ho vissuto un incubo nell'incubo, ma oggi ringrazio il capo della Procura per essersi reso conto che, in questa storia, ci sono troppe domande a cui nessuno ha mai dato risposta. La prima perizia medico legale omette la descrizione del luogo ed esami importanti. Riporta tre date differenti per il ritrovamento del corpo e definisce ferite da prova quelle che sono in realtà ferite da difesa. Si è proceduto ascoltando solo alcuni testimoni e senza alcuna verifica, sulla base di pregiudizi che portavano a pensare che si trattasse di suicidio. Un castello di ipotesi infondate che finalmente sta crollando, fatti alla mano e grazie alle nuove testimonianze. Io, sia chiaro, non mi fermo fin quando non verrà fatta piena luce: voglio la verità! Sono passati 5 anni e non intendo fare la fine del papà di Serena Mollicone».
Il lavoro da fare non è poco, a partire dagli oggetti che Marco aveva con sé, mai ritrovati.

Il ragazzo nei giorni precedenti aveva paura e aveva fatto uno scambio d'auto per non essere riconosciuto: con chi e per quale motivo?

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