Roma, Casamonica, il racket degli autosaloni

Roma, Casamonica, il racket degli autosaloni
di Adelaide Pierucci
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Giovedì 2 Aprile 2020, 11:05

Troppa polvere e vibrazioni. A qualcuno del clan dei Casamonica era bastato affacciarsi per trovare il pretesto per taglieggiare due imprenditori delle auto. I lavori avviati su via Tuscolana per la realizzazione di una nuova concessionaria erano stati avviati a pochi metri dalle ville di famiglia. Un affronto per il clan, e spunto appetibile per mettere a segno un taglieggiamento, costato, nel luglio del 2018, ai fratelli Valentino, leader nel settore auto, una richiesta estorsiva di diecimila euro, da loro, però, mai pagata, anzi, denunciata nonostante la paura.

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«Sono pericolosi. Basta che non ci sparano», si preoccupavano, intercettatti a loro insaputa. Ieri il primo epilogo della vicenda. In un piazzale Clodio semideserto Guerino Casamonica, personaggio di spicco del clan con base a Roma Sud, è stato rinviato a giudizio con l’accusa di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso mentre l’emissario spedito a battere cassa, Marco Sutera, suo amico e incensurato, che ha optato per il rito abbreviato, ha incassato una condanna a 3 anni di reclusione, per lo stesso reato, mentre la procura puntava a una pena a 4 anni e 8 mesi. Sutera, difeso dall’avvocato Pietro Nicotera, ha provato a puntare sulla desistenza, ma non è stato creduto. 
 
Il suo passo indietro, infatti, era stato successivo alla proposta estorsiva presentata per nome di Guerino. «Siete amici miei», aveva detto agli imprenditori, «Guerino ha risolto quella cosa. Sono soltanto diecimila euro». La questione risolta riguardava proprio il disturbo arrecato ai Casamonica dirimpettai alla nuova concessionaria. Qualcuno di loro si era lamentato e Guerino aveva rivendicato il potere di sistemare le cose: «Ci penso io». Ma quando ha capito che gli imprenditori non volevano pagare la sua insistenza è divenuta più forte, sia nei confronti di Marco Sutera, sia del padre di quest’ultimo, ex dipendente degli imprenditori.

«Ho capito, faccio lo zingaro, faccio a modo nostro», si infuriava Guerino. «Mi sono esposto con la gente, ci ho rimesso di tasca mia...». «Mi prendo una o più macchine senza soldi». Fino a esporsi in due blitz nella concessionaria di via Tiburtina e poi di via Tuscolana con la scusa di proporre un affare: ottenere la gestione delle colonnine per la ricarica delle auto elettriche. Un modo per far sentire il peso criminale, mafioso, della famiglia, secondo la ricostruzione dei pm Giovanni Musarò e Stefano Luciani. Guerino voleva uscirne a testa alta. Dopo il caos per il funerale faraonico dello zio Vittorio era andato in tv a rivendicare le tradizioni di famiglia. I Valentino non si sono costituiti parte civile. 

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