​Comunali, veti su Bertolaso e Calenda: così Roma riparte da zero

Sindaco, veti su Bertolaso e Calenda: così Roma riparte da zero
di Mario Ajello
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Venerdì 23 Ottobre 2020, 00:49 - Ultimo aggiornamento: 10:11

Lo avevano previsto tutti. La scelta del candidato sindaco del centrodestra a Roma sarebbe presto diventata un rompicapo. Sull’ipotesi, molto gradita a Berlusconi, di Guido Bertolaso, il gioco dell’interdizione tra alleati - Meloni e Salvini - è entrato nel vivo. Non in maniera altisonante, non per rompere l’alleanza, figuriamoci!, ma per ribadire una sorta di primazia sulla scelta per chi deve correre come successore della Raggi. La quale è super-attiva, si sente candidata inamovibile dei 5 stelle - in realtà lo è fino a un certo punto - e tra le villette abbattute dei Casamonica, i giri nelle periferie, affollate anche dalla presenza ogni weekend della Meloni e ora anche di Calenda, e la raffica di tweet sulle (tardive) opere di manutenzione della città, Virginia è già in campagna elettorale. 

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E insomma l’affare Bertolaso s’ingarbuglia.

Meloni, a chi le ha parlato, ha detto che l’ex capo della Protezione civile, ed ex candidato sindaco di Roma nel 2016 poi ritirato proprio perché FdI aveva altri programmi, non sarebbe il nome giusto per scalare il Campidoglio. Perché già è stato in pista l’altra volta e sorsero problemi? Perché è troppo timbrato Berlusconi? Perché eccessivamente tecnico e poco connotato politicamente? C’è chi ricorda magari a torto - le questioni politiche prescindono quelle personali - che ci furono attriti nel 2016 tra Bertolaso e Meloni, per un’espressione poco felice dell’ex capo della Protezione civile: «La Meloni? Pensi a fare la mamma». Ma vabbé, non può essere questa la motivazione - semmai le ragioni sono appunto politiche - dell’indisponibilità di FdI su un nome che comunque ha un suo peso. E che Salvini, al contrario della Meloni, sta considerando con un certo interesse: «Guido sarebbe un’ottima scelta», dice il capo leghista ai suoi. E ancora: «E’ un tipo che risolve i problemi. Ma avrà anche la capacità politica di mediazione e di ascolto che serve a una figura che è anche politica?». Salvini vorrebbe andare a vedere. E’ tentato. Ma se la Meloni non vuole? «Allora - dicono alla Lega - lo faccia lei un bel nome per il Campidoglio? Non ci sembra che per ora abbia messo sul tavolo della coalizione chissà quale jolly!». 

La sensazione generale è che tra dubbi e veti, sia dentro il centrodestra sia nel centrosinistra, la partita Capitale sia ferma. Il che, trattandosi di Roma e delle sue piaghe da rimarginare con un pronto intervento, già a partire dai programmi (anche quelli evanescenti dei vari schieramenti), è gravissimo. La paura di tutti, in questo stallo, è la seguente: non è che poi al ballottaggio ci finisce la Raggi? I sondaggi danno la sindaca non mal messa: tra il 15 e il 20 per cento. Forse anche perché non si sa chi siano, a parte Calenda e Sgarbi, i competitor. E si torna al punto dei dubbi e dei veti. Si sta facendo ardua anche la possibilità che Di Maio riesca a tirare fuori la Raggi, tutt’altro che gradita a gran parte dei 5 stelle, dalla corsa come vorrebbe Zingaretti (per scegliere un comune candidato rosso-giallo). Per non dire del bisogno assoluto che ha il Pd di coinvolgere Conte nella questione di Roma, ma il premier a dispetto di quanto vogliono i dem non sembra avere intenzione almeno per il momento di prendere in mano il dossier Capitale per favorire una candidatura rossogialla in linea con gli equilibri del governo nazionale. 

E così, la palude. Che potrebbe durare, secondo i pessimisti, anche fino a Natale. E nel frattempo le due variabili - Raggi e Calenda - stanno complicando la partita degli altri che sono a corto di top player e che si accontentato per il momento del gioco d’interdizione. «Oscurate Calenda!»: questo stanno chiedendo i vertici del Pd a dirigenti e militanti. Ormai quotidianamente impegnati a tirare bordate contro il leader di Azione, regalandogli centralità.
 

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