Roma, il conto del caro bollette: 2.500 tra negozi e artigiani rischiano di non riaprire

Allarme della Cna: con gli aumenti dell’energia a settembre potrebbero raddoppiare le chiusure in città. In pericolo fabbri, ceramisti, fornai e bar

Roma, il conto del caro bollette: 2.500 tra negozi e artigiani rischiano di non riaprire
di Francesco Pacifico
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Sabato 27 Agosto 2022, 23:58 - Ultimo aggiornamento: 28 Agosto, 16:35

Circa 2.500 aziende romane potrebbero non riaprire a settembre dopo le vacanze. E a mettere a rischio il futuro di queste realtà - per lo più del terziario, con commercianti, artigiani e albergatori in testa alla lista - sono i nuovi rincari dell’energia e quelli sulle materie prime previsti per l’autunno. Spiega Stefano Di Niola, direttore della Cna capitolina: «Normalmente registriamo un tasso di chiusura delle imprese pari al 5 per cento, comprendendo sia chi fallisce per motivi economici sia chi, magari per raggiunti limiti di età, decide di passare la mano. Invece con l’aumento dei costi dell’energia - ormai la bolletta è triplicata - temiamo che questo livello possa raddoppiare e che finiscano per sospendere la propria attività anche realtà che nei mesi scorsi erano più ottimiste sul loro futuro. E infondo c’è poco da fare quando per la luce e il gas si paga il doppio rispetto all’affitto dei locali». 

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LE STIME

Arera, l’autorità di regolazione per energia reti e ambiente, ha stimato che a ottobre sono previsti rincari di un ulteriore 100 per le bollette.

Guardando alla situazione attuale, Fipe-Confcommercio ha calcolato che un bar che nel 2021 spendeva di elettricità circa 2.300 euro per 10.031 kilowattora, un anno dopo ha pagato per gli stessi consumi quasi 7mila euro. «Potrebbero non rialzare la saracinesca - segnala Di Niola - tutte le imprese energivore: e in questa categoria rientrano gli opifici che lavorano i metalli, gli artigiani che modellano la ceramica oppure i fornai che preparano il pane e i gelatai». 

 

Il boom dei prezzi delle materie prime, non solo di gas ed elettricità, diventa quindi un muro insormontabile soprattutto per quegli artigiani impegnati nella trasformazione alimentare e nella lavorazione di legno, ferro, pelli, materie plastiche o tessuti. La stima di Cna sulla possibile chiusura di circa 2.500 imprese è stata, di fatto, confermata anche dalle altre associazioni di categoria del terziario. Confcommercio ha ipotizzato che nella Capitale circa 1.500 tra bar e ristoranti potrebbero sospendere (per un periodo o per sempre) la loro attività a breve. Confartigianato ha segnalato che corrono lo stesso rischio quasi un migliaio di laboratori, mentre Federalberghi teme che almeno 300 dei 1.200 alberghi della Capitale possano fermarsi nella stagione invernale.

Una situazione che avrà forti ripercussioni sul piano occupazionale: sempre Confartigianato ha segnalato che «solo considerando le micro e piccole imprese, i settori manifatturieri energy intensive coinvolgono 969 imprese con 4.618 addetti. La carenza di materie prime riguarda 34.173 imprese con 87.609 addetti. Sono poi 10.452 quelle colpite dal caro carburanti per 37.274 addetti». Nota Sergio Paolantoni, leader capitolino della Fipe-Confcommercio: «Seguendo l’inflazione un caffè dovrebbe costare un euro e cinquanta. Ma farlo vorrebbe dire perdere la clientela. Vediamo quali saranno gli interventi nel prossimo decreto del governo, ma intanto la tendenza sembra chiara: già ad agosto, e soprattutto in periferia dove non ci sono i turisti, molti negozi hanno preferito allungare più del solito il periodo di ferie. E lo hanno fatto soprattutto per ridurre i costi energetici a fronte di una domanda molto bassa». 

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