Ama, inchiesta sui furti di benzina. Dirigenti nel mirino: «Non controllarono i netturbini»

Ama, inchiesta sui furti di benzina. Dirigenti nel mirino: «Non controllarono i netturbini»
di Francesco Pacifico e Giuseppe Scarpa
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Sabato 3 Agosto 2019, 11:45 - Ultimo aggiornamento: 17:57
Dopo il fascicolo aperto dalla Procura di Roma scende in campo anche la Corte dei Conti per fare luce sullo scandalo dei netturbini che rubavano il gasolio alla municipalizzata dei rifiuti. Diesel che poi usavano nelle loro auto o rivendevano a parenti e conoscenti. Ma se in piazzale Clodio i pm indagano sui sette dipendenti già licenziati dall’azienda a luglio e sui venti casi denunciati nel 2017 dall’ex presidente Lorenzo Bagnacani, la magistratura contabile vuole accertare se ci sono responsabilità da parte del management, iniziando da quelle di omesso controllo.

Ad aprire il fascicolo, dopo la segnalazione dell’autorità giudiziaria il vice procuratore generale Corte dei conti, Tammaro Maiello, che avrà il compito di verificare se si può prefigurare il danno erariale, chiedendo ai dirigenti nel caso di condanna di risponderne in solido. Anche perché la municipalizzata è destinataria di un contratto di servizio con il comune di Roma da 750 milioni all’anno. Da quanto s’apprende dalla utility dei rifiuti, l’inchiesta interna scattata nei mesi scorsi non avrebbe portato alla scoperta di nuovi casi di furbetti. Ma tutta la vicenda - per quanto emblematica della malagestione che si protrae da anni a via Calderon de la Barca - è ancora nebulosa, perché non sono chiari né la portata dei furti (a quanto si sa, sarebbero stati sottratti almeno 3mila litri) né il numero di addetti avvezzi a questa pratica.

Come detto, le prime segnalazioni alla procura di Roma arrivano dall’ex presidente Bagnacani, che facendo una semplice equazione tra i chilometri percorsi dai mezzi e il numero dei furgoni funzionanti (il 49 per cento è fuori uso) si accorge che i conti non tornano: la spesa per i carburanti a carico dell’azienda era di gran lunga superiore al dovuto. Ma sono passati circa due anni prima che l’utility facesse luce su quanto accadeva nei suoi uffici e nelle sue rimesse, anche con l’aiuto di investigatori privati: alcuni dipendenti avevano creato un meccanismo collaudato per sottrarre in maniera sistematica carburante nel silenzio e nell’indifferenza generale.

La strategia era semplice: alcuni netturbini avevano scoperto che giacevano nei cassetti degli uffici delle carte carburanti, destinate a rifornire auto di servizio e camion e camioncini per la raccolta dei rifiuti quando erano in circolazione per la città. Per non farsi scoprire, addebitavano il pieno a mezzi non funzionanti, che risultavano guasti ed erano fermi nei depositi. Altri ancora, persino più spregiudicati, facevano direttamente dai distributori aziendali il pieno alle loro auto o riempivano taniche per poi rivenderle ad amici e parenti. In un primo tempo l’azienda - quando è scoppiato il caso - si sarebbe mostrata molto cauta e avrebbe avuto la mano leggera con i furbetti: infatti, in un primo tempo, ci sono state soltanto sospensioni - con blocco dello stipendio - per 19 giorni.

Salvo poi licenziare sette dipendenti, quando gli addetti già sanzionati, recidivi, hanno continuato a rubare carburante.
Alla base di questi provvedimenti c’è stato il lavoro di una commissione interna, che - interrogando i netturbini infedeli - ha scoperto uno scenario da brividi. C’è chi ha provato a giustificarsi, dicendo: «Abito alla borgata Finocchio, è lontano...»; chi si è sentito spinto perché «vedevo i colleghi che facevano lo stesso»; chi, infine, ha raccontato di aver rubato gasolio «per 7 o 8 volte al mese. Effettuavo prelievi di 25/30 litri. E ho venduto il gasolio ai conoscenti». Se non bastasse, molti dei licenziati avevano ottenuto dall’azienda un rimborso della benzina proprio perché vivevano lontano dal luogo di lavoro.
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