L'Alberone di Roberto Recchioni: «Il mio quartiere tra pub e leoni: è solo una lunga domenica»

nella foto ROBERTO VECCHIONI scrittore e fumettista
di Roberto Recchioni
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Sabato 11 Aprile 2020, 12:04
L’Appio-Latino è il territorio più vecchio di Roma, già popoloso in età protostorica e collegamento tra il Latium Vetus (la porzione centrale del Lazio attuale) e la Campania dei greci e dei sanniti. Quanto ai romani, quando arrivano in queste terre fanno sorgere ville patrizie, cisterne ipogee, opifici e acquedotti, un’area residenziale piena di natura e comfort dove i ricchi andavano a passare il fine settimana per rilassarsi, lontani dalla frenesia della capitale. Queste strutture resistono al tempo fino alle guerre Greco-Gotiche e finiscono in rovina e abbandono, dopo di esse. È solo con la realizzazione della via Tuscolana (attorno al VI secolo) che la zona rinasce e torna a fiorire, diventando un importante punto di scambio per il commercio e il trasporto delle merci.

Nel ventesimo secolo viene istituito come quartiere propriamente detto e circoscritto tra le mura, la ferrovia e la zona archeologica dell’Appia Antica. Tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, la popolazione dell’Appio-Latino cresce enormemente, concentrandosi nella parte Nord della sua estensione, lasciando quella a Sud (il Parco della Caffarella), quasi completamente deserta. E questa è la storia in estrema sintesi. Ma i quartieri, oltre che di cronache urbanistiche, sono fatti di luoghi, di abitudini e di persone e l’Appio-Latino, nonostante la sua natura di posto tranquillo, dove non sembra succedere mai nulla, eternamente sospeso in una perenne domenica mattina, non fa eccezione.

C’è per esempio il racconto del leone di Villa Lazzaroni, che sulla sua groppa ha ospitato generazioni e generazioni di ragazzini: ora quasi non ha più forma e il marmo del suo manto è stato fatto lucido dal fondo dei pantaloni dei marmocchi. Non sei uno dell’Appio-Latino se tuo padre, tua madre o uno dei tuoi nonni, non ti hanno messo a cavalcioni sopra a questa vecchia fiera ormai sdentata quando eri piccolo. E, sempre nello stesso giardino, c’è la smunta carovana dei pony che da quarantanni (almeno) fa sempre lo stesso giro, partendo dalle vecchie giostrine e tornando a esse dopo essere passata per la bocciofila, la pista di pattinaggio e l’area per i cani. Davanti a Villa Lazzaroni, invece, c’è una grande Feltrinelli, amata e odiata da quelli che in questa zona ci sono cresciuti. Perché prima, al posto suo, trovava spazio Tuttilibri, una vera istituzione della cultura romana assieme alla sua commessa dai capelli lunghi e corvini, sempre tirati, che non sorrideva mai.

E prima ancora di Tuttilibri, in quei locali, c’era il cinema Diana, che con il New York, il Trianon e il Maestoso, definiva un quadrilatero aureo della cinematografia della capitale. Oggi di quelle sale è rimasta aperta solo quella del Trianon perché anche l’imponente Maestoso ha ceduto alla crisi, e oggi al posto suo c’è un buco privo di vita, a due passi dal cuore di questo quartiere: piazza dell’Alberone. Che è detta così perché da sempre (in realtà sin dal ‘700), ha avuto al suo centro una grande pianta sotto la cui ombra si sono sempre rinfrescati i romani. Prima era una quercia secolare, poi un leccio di una decina di metri. Abbattuto da un temporale nel 2014, e poi un altro leccio ancora: nei giorni del Covid ci lasciano cestini solidali e riviste, parole crociate e fumetti.

Proseguendo, il mercato all’aperto, la “frulleria” Papaya (che nessuno ha mai pensato di rinnovare da Italia ‘90) e spingendosi oltre, il ponte della ferrovia, il Jerry Bar, fino a sfociare su Piazza Re di Roma e, scendendo verso la Tuscolana, il Forbidden Planet, la mecca dei fumettisti capitolini. Oltre c’è San Giovanni e il centro, quello vero. Ma questa è un’altra storia. L’Appio-Latino è un quartiere che non è mai stato di moda e che, probabilmente, non lo sarà mai. È un posto fatto da persone anziane e famiglie tranquille, con tanti alberi, qualche negozio non troppo interessante e dei pub fuori tempo massimo che, forse proprio per questo, hanno resistito alle mode. È una zona che non diventerà mai “il prossimo Pigneto” e che noi che ci viviamo, amiamo proprio per questo. Qui la vita è tranquilla e questo imprevisto pisolino che il mondo ha deciso di prendersi non ci ha scombussolato troppo.
Per noi, questa è solamente una domenica più lunga e tranquilla del solito. Che, presto o tardi, finirà. 
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