«Portare a Roma la sede della futura agenzia europea antiriciclaggio sarebbe un doppio riconoscimento per l’Italia: intanto, perché siamo il Paese che in questo campo ha prodotto la normativa più avanzata a livello internazionale. Eppoi, ma vorrei dire soprattutto, perché siamo il Paese della lotta alle mafie». Parola di Raffaele Cantone, oggi procuratore capo a Perugia, in passato alla guida dell’Anac, l’autorità nazionale anticorruzione, e in prima linea nella lotta ai Casalesi e agli altri clan camorristici di Napoli Nord e del Casertano, come inquirente di punta della direzione distrettuale antimafia partenopea.
Procuratore Cantone, lei parla di un riconoscimento, ma fino a qualche anno fa l’Italia era sinonimo di mafia.
«Oggi non è più così: nei Paesi dei Balcani per esempio, ci sono aule dedicate a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
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I promotori della candidatura romana segnalano anche che l’Italia è all’avanguardia per la legislazione antiriciclaggio.
«Intanto siamo il Paese che, prima degli altri, ha recepito tutte le direttive in questo campo. Ma abbiamo anche introdotto delle modalità di controllo che vengono prese a modello».
Per esempio?
«Già prima del 1992 abbiamo iniziato sulla tracciabilità bancaria. Ed è tra i migliori al mondo il livello delle segnalazioni alle autorità inquirenti che arrivano dai nostri istituti finanziari sui casi di riciclaggio e sulle operazioni sospette: oltre a essere circostanziate, sono tantissime. Abbiamo una polizia economico-finanziaria, la Guardia di finanza, con sua specificità, oltre a organismi come l’Uif (l’Unità di informazione finanziaria di Bankitalia) e l’Anac, con il suo lavoro anche sul fronte preventivo contro la corruzione».
Risultato?
«In questa materia abbiamo un know how che non è paragonabile a quello di altri Paesi. Così si è creato un sistema di alert, con professionisti esperti e norme calate nella realtà, che vanno oltre la fase prettamente giurisprudenziale e non si soffermano soltanto sulla criminalità organizzata. E non è un caso se in Italia i processi per riciclaggio sono numerosi.
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Perché si deve scegliere Roma?
«Personalmente preferisco dire: perché l’Italia. Ma un organismo del genere può nascere solo qui: Roma non sarà la Capitale finanziaria del Paese, ma qui - oltre al valore simbolico - ci sono i ministeri, la Banca d’Italia, l’Anac, la Dna e tutti quei collegamenti che possono rafforzare il ruolo di un’autorità che avrà un campo d’azione internazionale».
Per l’Italia e per la Capitale è soltanto una questione di prestigio?
«Assolutamente no. La nostra legislazione sull’antiriciclaggio è all’avanguardia, lo abbiamo detto. Ma adesso bisogno guardare a questi fenomeni in un’ottica più internazionale. E la grande esperienza nazionale spesso si scontra con tutti i paletti di natura transnazionale: se l’Italia o la Francia provano a ragione con Hong Kong sulle criptovalute possono poco, se lo fa un organismo internazionale come questa autorità le cose cambiano. Aspettiamo il regolamento della Commissione, ma spero che questo organismo abbia poteri inquirenti concreti e possa essere l’interfaccia tra i diversi Paesi che manca in questo campo».