Roma, strage via Fani: sulla Fiat 130 l’agguato ad Aldo Moro e agli uomini della scorta. «Vogliamo un museo»​

Alla Motorizzazione Civile in via Settebagni, 333, una visita simbolica per rendere omaggio alle vittime e coltivare la memoria collettiva

Il Presidente della Dc, Aldo Moro, a bordo della Fiat 130 accompagnato dalla sua scorta
di Alessia Perreca
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Giovedì 16 Marzo 2023, 22:38

Quarantacinque anni dopo nulla è cambiato. Il foro sul parabrezza, le schegge di vetro all’interno dell’abitacolo, le portiere con i buchi dei proiettili, insieme ai sedili dilaniati dai numerosi colpi di mitra sparati da un commando di brigatisti quel tragico giovedì mattina del 16 Marzo 1978, lungo via Fani, all’incrocio con via Stresa, a Roma. Sono i segni “storici” ancora presenti a bordo della Fiat 130 e sulla quale viaggiava il Presidente della Dc, Aldo Moro, scortato dai due carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci e tre poliziotti Giulio Rivera, Raffaelle Iozzino e Francesco Zizzi mentre erano a bordo di un’alfetta bianca che seguiva l’auto di Moro.

 

La Fiat 130 è oggi custodita al Museo storico della motorizzazione civile di Roma, vicino ad altre vetture e moto d’epoca. “Un esemplare di autovettura storica, iscritta nel 1971, negli archivi formali della nostra nazione”, ha commentato Potito Perruggini Ciotta, presidente dell’Osservatorio “Anni di Piombo”, presente - nel pomeriggio - alla visita simbolica presso il Museo della motorizzazione civile di Roma - in via Settebagni, 333 - in occasione dell’anniversario della strage di via Fani. L’evento è stato promosso da Perruggini Ciotta, da Giovanni Ricci, Presidente dell’Associazione “Domenico Ricci per la memoria dei Caduti di via Fani” e da Marta Marziali, Consigliera (IV) del Municipio III.

“Ho vissuto la perdita di mio zio, soltanto ventinovenne, un anno prima, a Torino.

Mio zio è stato la prima vittima degli anni di Piombo - ha proseguito Potito Perruggini - esattamente come il Commissario Calabresi. Una vittima di cui si conosce poco, E per la strage di via Fani è necessario ricordare anche il nome delle cinque vittime. Il Paese ha subìto una crepa indissolubile e dobbiamo impegnarci per cercare di colmarla. A partire dalle nuove generazioni. L’impegno da parte di tutti è che questa vettura sia accessibile e fruibile. E bisogna far in modo che in tutte le scuole di ogni ordine e grado si parli di questo tema.”

“Sentiamo la necessità che questo bene diventi parte di un percorso della memoria che tante associazioni ed archivi stanno mettendo in atto”, ha proseguito Marta Marziali, Consigliera ( Iv)  Municipio III. “Questa automobile è il simbolo del 16 Marzo. Una data che ha segnato una spaccatura della nostra Italia.”

Le immagini dei corpi - coperti da un telo bianco - e dei proiettili lungo via Fani sono ancora impresse nella memoria collettiva. L’intero paese si era fermato dinnanzi ad una vicenda che ancora oggi ha lasciato profonde ferite aperte. Le Brigate Rosse rivendicano il rapimento di Moro con una telefonata all’agenzia Ansa, qualche ora dopo l'agguato in via Fani. Giorni di attese, di lettere e depistaggi. Fino al tragico epilogo, 55 giorni dopo, - il 9 Maggio - quando il corpo dell'Onorevole viene fatto ritrovare in via Caetani. Il dolore è ancora vivo negli occhi e nelle voci dei familiari delle tante vittime delle Br, presenti questo pomeriggio.

“Mio padre è stato straordinario”, ha ricordato Luca Tarantelli, figlio del docente di Economia politica alla Sapienza, Ezio Tarantelli, ucciso da un commando delle Br, nel Marzo del 1985. “Di lui ricordo la sua capacità di incoraggiarmi e di spingermi ad andare sempre avanti.” I familiari delle vittime hanno voluto affermare quanto sia importante preservare e mantenere viva la memoria collettiva ed hanno espresso la volontà di “identificare un luogo fisico, un museo, che diventi un punto di riferimento nazionale affinché non si spengano i riflettori su quello che è accaduto quegli anni.”

E alla fine, come ci si poteva aspettare, molti familiari non hanno retto alla commozione. Al termine dell’incontro è stata letta la missiva inviata da Giovanni Ricci - figlio del carabiniere Domenico, ucciso in via Fani - assente all’evento per impegni istituzionali.

“Questa fiat 130 divenuta oramai famosa nella memoria collettiva per essere stata la macchina che portava non solamente Aldo Moro, ma che da anni era guidata da mio padre, Domenico Ricci, di cui ne conosceva i segreti", è scritto nella lettera. “Questa macchina è stata la sua tomba, ma anche la sua amante, al punto da rendere gelosa mia madre perché rappresentava il suo lavoro che tanto lo assorbiva. Era il simbolo che il suo sogno di carabiniere si era realizzato fin da quando era alla radiomobile, dal 1958. Purtroppo in parte la ruggine ed in parte il tempo la stanno distruggendo;  dall’altra, il non essere esposta in qualche luogo - forse più adatto e più protetto - sta permettendo che l’indifferenza vinca la sua battaglia. Sarebbe meglio per il popolo italiano che queste auto ( anche l’alfetta, che versa in uno stato di rovina, ndr) venissero recuperate a come erano il giorno della strage.” “Noi vogliamo lanciare un segno tangibile di memoria alle future generazioni perchè da tanto orrore i giovani comprendano la violenza del Terrorismo. SOlo vendendole dal vivo e toccandole tangibilmente tramsetteremo ai giovani e non solo quella conoscenza individuale madre della coscienza collettiva. Fare memoria è quasi naturale. Ma ricordare gli anni Settanta è complicato. Fare memoria diviene un atto civile e di conoscenza collettiva.”

Sempre nella giornata del ricordo del 16 Marzo del 1978, in Piazza Conca D’Oro - è stata deposta una targa per ricordare le vittime degli anni di Piombo.

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