Willy «ucciso in 50 secondi, hanno agito da macellai». Il pg: da ergastolo

Il pg: «Omicidio brutale, il ragazzo non si è accorto che stava morendo». In Appello chiesta la conferma delle pene: «All’ergastolo i fratelli Bianchi»

Willy «ucciso in 50 secondi, hanno agito da macellai». Il pg: da ergastolo
di Valeria Di Corrado
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Venerdì 28 Aprile 2023, 00:28 - Ultimo aggiornamento: 00:29

«Willy non si è accorto che stava morendo, non ha nemmeno parlato. È stato un omicidio brutale verso un ragazzo indifeso, un atto di macelleria nei confronti di una persona a terra e inerme, che è stata massacrata di botte».

Per questo, ieri, il procuratore generale Giangiacomo Bruno ha chiesto alla Corte d’assise d’appello di Roma di confermare la sentenza di primo grado: ossia l’ergastolo per Marco e Gabriele Bianchi, 23 anni di reclusione per Francesco Belleggia e 21 anni per Mario Pincarelli, tutti accusati dell’omicidio di Willy Monteiro Duarte.

«Willy ucciso in 50 secondi, hanno agito da macellai»

La notte tra il 5 e il 6 settembre del 2020 lo studente 21enne venne ucciso a calci e pugni in piazza Oberdan a Colleferro, in provincia di Roma, dopo essere intervenuto in difesa di un suo amico aggredito. Un delitto che ha sconvolto l’Italia intera, e che fa ancora rabbia. Soprattutto perché dai fratelli Bianchi, spavaldi anche in aula, non è mai arrivato un pentimento. Dopo essere stati separati e reclusi in due carceri diversi, ieri si sono ritrovati seduti uno a fianco all’altro sul banco degli imputati.

A giudicare dall’aspetto fisico, continuano entrambi ad allenarsi anche dietro le sbarre. Vestito con camicia bianca, pantaloni e maglioncino beige, con le sopracciglia sempre curate, Gabriele ha ascoltato con attenzione la requisitoria, lasciandosi andare a gesti di disapprovazione o di sconforto. Marco, che indossava un completo blu e una camicia bianca, era più impenetrabile: una volta ha cercato di confortare il fratello, mettendogli una mano sulla spalla; un’altra volta lo ha rimproverato, salvo poi - a un certo punto - lasciarsi andare con lui a una risata. Pincarelli era seduto vicino a loro e ha seguito l’udienza con aria distratta. Belleggia, invece, seduto a fianco al suo avvocato, era in abito blu e scarpe sportive bianche: dei 4 imputati è l’unico ai domiciliari.

LA REQUISITORIA
L’accusa ha impiegato tre ore per spiegare i motivi per i quali i giudici d’appello dovrebbero confermare le condanne inflitte dalla Corte d’assise di Frosinone il 4 luglio scorso. Al sostituto procuratore di Velletri Francesco Brando, lo stesso pm che ha tenuto la requisitoria anche in primo grado, è toccato il compito di ricostruire il complesso quadro accusatorio. Ha invitato la Corte a «comporre la verità come un mosaico perché Willy è stato ucciso in un contesto confuso», partendo dalla lite innescata da Belleggia davanti al locale “Due di Picche” di Colleferro e «degenerata con l’arrivo dei fratelli Bianchi, perché fino a quel punto era stata contenuta». Brando ha contestato la versione contenuta nel ricorso presentato dagli avvocati di Gabriele Bianchi, secondo cui la pressione mediatica ha influito sulle testimonianze. «Si vuole mettere in discussione la credibilità dei testi - ha spiegato il pm - quando invece una trentina di loro ha confermato che è stato Gabriele Bianchi a sferrare il primo e violento calcio al petto di Willy, con la pianta del piede, aggrappandosi a un palo per dargli più potenza; usando una tecnica delle arti marziali miste (Mma). Quel calcio micidiale crea una contusione al cuore, che tocca le pareti rigide del corpo e si riempie di sangue. Ciò comporta un’accelerazione del battito, una fibrillazione e infine la morte. Quel calcio fissa le regole di ingaggio, dicendo agli altri come bisogna picchiare. Gli imputati aderiscono a questo messaggio e iniziano il pestaggio: un’azione che mantiene il livello di violenza, ma aumenta di qualità, contro un soggetto che non ha nemmeno il tempo di accorgersi che sta morendo. Willy non reagisce e annaspa alla ricerca dell’aria, perché viene massacrato per 50 secondi».

«D’altronde è lo stesso Gabriele a confessare involontariamente di aver dato un calcio con quelle modalità, ossia facendo leva sul palo. Anche se dice di averlo sferrato a Samuele Cenciarelli (l’amico della vittima, ndr). Questo pone una pietra tombale sulla questione», ha concluso il pm, mentre Bianchi si copriva il viso con le mani. Nell’udienza dell’11 maggio la Corte scioglierà la riserva sulle richieste avanzate dalla difesa di Gabriele di riaprire il dibattimento per riascoltare alcuni testimoni su fatti nuovi emersi dopo la sentenza di primo grado. La Procura generale e le altre parti, ad eccezione della difesa di Marco Bianchi, si sono già dette contrarie. 
 

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