Avrebbero cercato di truccare l’ultimo concorso in magistratura, bandito il 10 dicembre 2021 per 500 posti. E adesso, dopo essere finiti sul banco degli imputati con l’accusa di tentato abuso d’ufficio, hanno ottenuto la messa alla prova con l’affidamento ai servizi sociali. Durante la prossima udienza, il giudice dovrà approvare - o modificare - il programma presentato dai due imputati: il professore di Diritto amministrativo Francesco Astone, ex direttore del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Messina e componente della Commissione esaminatrice del concorso, e il candidato Roberto Castellano, dottorando nello stesso ateneo e che, secondo gli inquirenti, era legato al docente da un rapporto professionale e di amicizia. A smascherarli - e a denunciarli - un altro componente della Commissione, al quale era stato inviato via mail l’elaborato dell’aspirante magistrato che, secondo l’accusa, contava di poter essere valutato con criteri più favorevoli. Ad Astone viene contestato di non essersi astenuto dai lavori nonostante il legame con Castellano, mai dichiarato nei documenti compilati e consegnati al Ministero. Avrebbe sminuito la loro conoscenza anche davanti al Csm, quando era stato convocato dopo la segnalazione.
LE VIOLAZIONI
Le irregolarità sono annotate nel capo di imputazione.
E ancora: il commissario avrebbe ricevuto «da Castellano i criteri di riconoscimento degli elaborati scritti», in modo poterli individuare, «per adottare - secondo l’accusa - criteri di valutazione diversi e più favorevoli». Avrebbe anche omesso di chiedere «l’annullamento dell’esame». E, con la collaborazione del candidato, avrebbe trasmesso gli identificativi degli elaborati a un altro componente della Commissione, «al fine di indurlo» a individuarli «perché li valutasse secondo criteri diversi», è sempre riportato nel capo di imputazione. In questo modo avrebbe cercato di garantire al giovane il superamento del concorso.
Per il difensore di Astone, l’avvocato Antonino Favazzo, «la decisione del professore di chiedere di definire il procedimento con le forme della messa alla prova, impegnandosi a partecipare ad un programma che prevede lo svolgimento di lavori di pubblica utilità, è stata molto meditata. Alla fine, ha prevalso l’esigenza di evitare una verosimilmente lunga pendenza giudiziaria, che già, a prescindere dal suo esito, costituisce essa stessa pena per l’imputato».
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