Rebibbia, detenuti a lezione di gelato: «Così troveremo un lavoro»

L'iniziativa dell'associazione "Seconda chance": il maestro Andrea Fassi insegna i trucchi del mestiere, boom di richieste

Viaggio a Rebibbia, detenuti a lezione di gelato: «Così troveremo un lavoro»
di Maria Lombardi
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Lunedì 22 Maggio 2023, 16:10 - Ultimo aggiornamento: 19:20

«In questa fase non ci interessa se il gelato è buono o cattivo. Ci interessa la struttura», i sapori verranno, spiega il maestro Andrea Fassi. «Facciamo un ripasso: vi ricordate perché gli ingredienti si sciolgono a bagnomaria? Esatto, per evitare il rischio di retrogusto bruciato». Kumar ai fornelli gira l'amalgama di cioccolato in un pentolino immerso nell'acqua, come ha appena raccomandato il titolare del Palazzo del Freddo, la gelateria di via Principe Eugenio, a Roma. «Quando esco voglio fare il gelataio o il pasticcere», e continua a rimestare la crema, «ma non qui, nel mio Paese», l'India, da cui lo separa un ergastolo. «Il mio sogno, quando torno libero, è mettere su un allevamento di lumache». «Io, quando sto fuori, voglio fare le pizze». Fuori da Rebibbia casa di reclusione, dove gli anni si contano in pena e le condanne sono definitive.

LE STORIE

Ore 12, lezione di gelato. Al laboratorio di cucina e sala lavorazione del carcere si arriva dopo aver superato vari cancelli e cortili. Intorno all'isola di alluminio, dove sono pronte le confezioni di latte, panna e i tondini di cioccolata fondente, i dodici detenuti e il maestro gelataio. «Abbiamo avuto molte più adesioni del previsto e quindi le ore di lezione sono passate da 2 a 4 ore e gli allievi sono diventati una trentina», Andrea Fassi è al sesto incontro di gelateria in carcere. «A ottobre pensiamo di fare un ulteriore corso, l'idea è di dare tutti gli strumenti per lavorare. Nel nostro laboratorio possiamo uno o due detenuti tra quelli che sono più interessati». L'azienda bolognese Carpigiani ha offerto alla casa di reclusione, in comodato d'uso per due mesi, una macchina per la produzione di gelato artigianale. «Spero che questo sia solo il primo dei corsi di gelateria che organizziamo nelle carceri italiane», Flavia Filippi, cronista giudiziaria a TgLa7, ha fondato l'associazione "Seconda chance" proprio con questo obiettivo, «procurare opportunità di lavoro per i detenuti ammessi a lavorare fuori dal carcere. Ora inviteremo a Rebibbia le più famose gelaterie per incontrare i ragazzi che stanno terminando le lezioni, chissà che non ci scappi qualche assunzione». Sono già 160 le offerte di lavoro procurate in un anno dall'associazione. «Proponiamo agli imprenditori baristi, lavapiatti, cuochi, pasticceri, camerieri, addetti alle pulizie, muratori, meccanici e giardinieri ma anche laureati facendo loro conoscere le agevolazioni fiscali e contributive previste dalla legge Smuraglia in caso di assunzioni di detenuti ed ex detenuti».
Gelataio, perché no? Alessandro, una condanna a 8 anni per spaccio e associazione, non ci aveva mai pensato. «È bello imparare cose nuove, ti liberi la mente e non senti che stai in galera. Io ho seguito tutti i corsi, faccio teatro con il Brancaccio, ho completato il Dams, dipingo e faccio mostre. Speriamo in un futuro migliore e che tutto questo servi per un inserimento». Dei 300 detenuti della casa di reclusione, «in 15 seguono l'università», ricorda Sara Macchia, responsabile dell'Area trattamentale, che insieme al comandante della polizia penitenziaria Luigi Ardini ha curato l'organizzazione del corso. «Tra le attività, c'è anche un laboratorio di pratiche filosofiche e un podcast sulla legalità».
G.C. segue la lezione del maestro Fassi in divisa bianca, «qui faccio il cuoco da 11 anni, sono il responsabile della cucina, ho una squadra di sette persone. È una fortuna lavorare, mandiamo i soldi a casa. Io avevo una pizzeria, mi hanno arrestato nel mio locale». Mancano 5 anni per la fine della pena. «Buonissimo, non si capisce che è un sorbetto», il detenuto di origine serba si tormenta per il figlio. «L'ho incontrato in carcere, è in cella con me, un pischello, ha preso una brutta strada e mi dispiace tanto. Sono qui per cumuli di pene, reati contro il patrimonio. Ma lui ha fatto anche la scuola, non doveva finire come me. Spero che gli serve a qualcosa, che cambia vita quando esce da qui». Chissà cosa ci aspetta fuori, il detenuto con il berretto amaranto se lo chiede sempre, «vorrei uscire per i miei genitori, per farmi perdonare, e poi tornare dentro e scontare la mia pena fino all'ultimo. Mi occupavo di informatica e di grafica, avevo una società. Poi è successo: tentato omicidio. Ma tutti noi meritiamo un'altra possibilità». Una Seconda chance, appunto. «Questa è l'occasione per acquisire una capacità che può essere spesa in ambiente libero», la direttrice di Rebibbia reclusione, Maria Donata Iannantuono, viene fermata ad ogni passo mentre attraversa un lunghissimo corridoio, «direttrice, scusi», e c'è una risposta per ogni domanda. «Persone che stanno scontando pene per reati gravi accolgono queste opportunità con entusiasmo».
 

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