Nino La Rocca in tribunale per aver picchiato la moglie. «Le mise le mani al collo e lei scappò»

L’ex pugile campione europeo dei pesi welter è imputato con l’accusa di lesioni

Nino La Rocca in tribunale per aver picchiato la moglie. L’amico che soccorse la donna: «Le mise le mani al collo e lei scappò»
di Federica Pozzi
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Venerdì 31 Marzo 2023, 00:45

Dal ring all’aula di tribunale. È a processo per lesioni nei confronti dell’ex compagna Cheid Tijani Sidibe, il noto pugile maliano naturalizzato italiano, conosciuto ai più come Nino La Rocca, campione europeo dei pesi welter nel 1989 e arrivato a un passo dal titolo mondiale nel 1984. 

Picchia la compagna, un testimone: «Piangeva e continuava a ripetere: il pazzo mi ha menato»

LA VICENDA

I fatti risalgono al 19 settembre 2018.

L’ex campione, oggi 64enne, è accusato di aver preso per il collo e spinto la donna, anche lei campionessa di boxe, durante una discussione in casa, il tutto davanti al figlio minore, procurandole lesioni personali con una prognosi di tre giorni. Ieri in aula un testimone, amico della vittima, ha raccontato l’accaduto. L’uomo era stato chiamato dalla donna: «Piangeva e mi chiedeva aiuto, perché lui stava spaccando tutto. Sentivo molto rumore in sottofondo, il bambino che piangeva e il compagno che urlava prendendola a parolacce». Così il teste ha raccontato di essersi recato nell’abitazione insieme ad un altro conoscente di lei e di avere trovato la vittima fuori casa. Ha aggiunto: «Era molto impaurita, ha detto che le aveva messo le mani addosso come per strangolarla e che era poi riuscita a scappare». L’uomo l’aveva infatti trovata fuori dal portone mentre Sidibe si era chiuso dentro con il figlio e non la faceva rientrare. Poco dopo erano intervenuti i Carabinieri. Il testimone ha confermato le dichiarazioni già fatte il 26 settembre del 2018 ai militari della stazione La Storta. 

«Mia moglie è tosta e anche adesso mi sta dicendo di non esprimere certe opinioni. Ma rimango delle mie idee: la donna è bella, e non deve salire sul ring a prendere botte e farsi spaccare il viso». Suonano come un paradosso, visto il capo di imputazione, le parole di La Rocca in un’intervista del 2017 all’Ansa, nella quale parlava delle donne che praticano la sua stessa disciplina.

LA CARRIERA

Ai tempi d’oro i giornali lo chiamavano il Muhammad Ali d’Italia. Nato nel 1959 a Port-Étienne, Mauritania, da padre militare maliano e madre siciliana, si trasferisce prima con la famiglia in Marocco e poi in Francia, dove inizia la sua carriera da pugile grazie allo zio materno, Nino La Rocca, che poi deciderà di onorare prendendone nome e cognome. Dopo aver conquistato la cintura di campione cittadino nei pesi welter, conosce lo storico allenatore Rocco Agostino e inizia così la carriera in Italia. Un amore travagliato per il nostro Paese a causa della lunga lotta per ottenere la cittadinanza italiana, poi concessa al campione dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che lo chiamò in diretta durante una trasmissione di Gianni Minà dicendogli che nei giorni seguenti gli sarebbe stata data la cittadinanza. E così è successo, è stato proprio Pertini a consegnare i documenti al campione, in Quirinale. Il 22 settembre 1984 lo sportivo è in lizza per il titolo mondiale, che però perde contro l’americano Donald Curry. Ma l’apice del successo lo raggiunge qualche anno dopo, nell’aprile del 1989, aggiudicandosi il titolo campione europeo dei pesi welter.

IL RITIRO

La carriera di La Rocca si chiude dopo 80 incontri, con 74 vittorie (54 per KO) e 6 sconfitte. A cinque anni dal ritiro prova a tornare a combattere, ma la legge italiana vietava il ritorno sul ring per chi avesse superato i 35 anni di età. Cerca allora di iscriversi alla federazione francese, che consente il professionismo fino a 40 anni, ma non gli viene concessa neanche lì l’autorizzazione. Stessa cosa accade in Belgio.
 

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