Prestiti generosi a soggetti considerati da qualsiasi banca inaffidabili. Viaggi studio pagati ai figli dei dirigenti. Speculazioni finanziarie con le quote degli iscritti o straordinari galattici per aumentare gli stipendi di chi scaldava la sedia. Un bancomat per funzionari e travet capitolini, tutto questo è stato l'Ipa, l'istituto di previdenza e assistenza per i dipendenti di Roma Capitale. Una situazione - denunciata dal Messaggero - che ha causato un buco da 51 milioni di euro, un crollo delle iscrizioni e, di riflesso, un tracollo più pericoloso in termini finanziari delle contribuzioni: sono calate del 21 per certo in pochi anni.
I CONTROLLI
I controlli - interni o da parte dell'azionista, il Comune - non ci sono mai stati. Per esempio sull'autorizzazione degli straordinari. Sì, perché alcuni dipendenti dell'Ipa riuscivano in questo modo a intascare di fatto un doppio stipendio. Gli addetti erano inquadrati come personale capitolino in comando, cioè prestati, all'Ipa. Accanto allo stipendio base si facevano pagare un numero incredibile di straordinari: in alcuni casi anche di 180 ore al mese. Ma di straordinario c'era soltanto il modo di giustificare questo plus di lavoro: si è scoperto che c'era il dipendente che si vedeva riconoscere 1.400 euro per aver organizzato la manifestazione «del primo giorno di scuola» o 1.100 per la «festa della befana».
Tra i casi più eclatanti c'è il pagamento delle vacanze studio all'estero ai figli dei dirigenti. Pratica vietata dallo statuto dello stesso istituto di previdenza capitolino, che impedisce ai suoi vertici e alle sue prime linee di ottenere benefit di qualsiasi natura. Anche perché i corsi di formazione o quelli di lingue fuori dai confini patrii erano autorizzati soltanto per i figli degli impiegati, con redditi certamente molto più bassi di chi guidava l'ente. Invece in barba alle norme interne e alle più semplici regole di sana e buona gestione, ecco voli aerei e rette in college esclusivi rimborsati in toto e in parte per viaggi in Scozia, Londra, Oxford, Palma di Maiorca, Malaga, Barcellona, Valencia o Malta. Anzi, più che pagati strapagati: soltanto nel 2017 furono impegnati in questa direzione mezzo milione di euro.
Altro capitolo in questa vicenda finito nel mirino della Corte dei Conti riguarda l'allegra gestione dei prestiti ai dipendenti. Intanto tra i dirigenti che si occupavano di autorizzare le pratiche c'era anche un'ex giardiniere comunale, privo di esperienze e competenze finanziarie. In questo marasma non deve sorprendere se siano stati autorizzati mutui a comunali senza alcuna garanzia, morosi o protestati. Di più, sono stati scoperti bonifici ad alcuni addetti senza neppure la necessaria autorizzazione. Inutile dire che molti impieghi non sono stati mai restituiti, qualcuno ha fatto pure perdere le proprie tracce. E parliamo anche di cifre altissime: 50, 70mila o 100mila erogati con leggerezza. Per esempio a una dipendente che non sapeva altrimenti come pagare la vacanza studi al figlio, che voleva formarsi in Australia, o alla netturbina dell'Ama che aveva già acceso un mutuo e se ne è visto autorizzare un altro con una motivazione surreale: merita i soldi perché «l'ex coniuge è detenuto».
Come si è detto, l'Ipa era un bancomat a favore di dirigenti e dipendenti capitolini. E come ogni banca che si rispetti, al suo interno c'è pure chi si è dato alla finanza speculativa, comprando titoli e bond con un alto rischio e scarsissime possibilità di ritorno dell'investimento, invece dei classici titoli di Stato poco remunerativi ma sicuri. Soltanto nel 2017 si sono scoperte perdite per quasi mezzo milione di euro. E in fondo non poteva andare diversamente: tra i manager che decidevano le strategie d'investimento c'era anche un ex dipendente dell'ufficio scuola, laureato in sociologia. Che però amava leggere di finanza.