Avrebbero offerto a un imprenditore del lusso la possibilità di «piazzarlo» in prestigiosi posti di lavoro, grazie alle loro conoscenze, poi risultate finte. In cambio avrebbero chiesto denaro che sarebbe servito a "oliare" «i componenti delle varie commissioni che dovevano decidere chi assumere». È quanto emerge dall'informativa del commissariato Trevi a carico di Vincenzo Caprioli, romano di 76 anni, e Armando Wood, classe 53 di Capua, accusati dalla Procura di Roma, a seconda delle posizioni, di truffa e simulazione di reato. Un processo nato a seguito della querela presentata nel febbraio 2017 da un 35enne ascolano che oggi è imprenditore nel mondo del lusso, oltre che campione di arti marziali; a sua volta imputato per tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni e minacce rivolte proprio ai danni di Caprioli. Quest'ultimo era stato denunciato per reati simili già nel 2012 e all'inizio del 2023. Come si legge nell'informativa della polizia, che non è mai stata acquisita agli atti del processo, visto che non fa altro che ripetere i contenuti della querela «in ogni occasione evidenziava di essere in contatto con persone altolocate».
IL POSTO NEI SERVIZI SEGRETI
Un giorno avrebbe invitato l'imprenditore in Campidoglio per fargli vedere il suo ufficio. «È lì che ha conquistato la mia fiducia.
LA PRECISAZIONE
«Non è assolutamente vero - come precisato in una richiesta di rettifica pervenuta al nostro giornale dai legali Giuseppe Sabato e Ugo Cioffi, ovvero i rispettivi difensori di Vincenzo Caprioli e Armando Wood - che agli atti del processo vi sia una informativa che affermerebbe che i nostri assistiti abbiano perpetrato una truffa in danno dell'influencer. Infatti, l'informativa menzionata si è meramente limitata a riportare, in maniera riassuntiva, i contenuti della querela dallo stesso presentata sicché non potrà mai assurgere ad elemento di riscontro delle accuse da lui formulate, come invece lascia subdolamente intendere con le proprie dichiarazioni. Ciò è tanto vero che, nel corso del dibattimento, cui, è bene rilevare, il B. non ha mai inteso partecipare, neppure quando citato dal Tribunale per rendere la propria testimonianza, l'operante di Polizia Giudiziaria estensore dell'informativa ha riferito che il contenuto di quest'ultima altro non era che quanto narrato in querela da B., sicché non esistono elementi di prova oggettivi diversi ed ulteriori che confermino le accuse formulate da B.».