Diabolik, l'autista al processo: «Ho visto l'arma sulla tempia. Fabrizio? Era tranquillissimo»​

Il cubano ha assistito all'omicidio

Diabolik, l'autista al processo: «Ho visto l'arma sulla tempia. Fabrizio? Era tranquillissimo»
di Valentina Errante
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Venerdì 9 Giugno 2023, 10:39 - Ultimo aggiornamento: 10:54

Fabrizio Piscitelli «era tranquillissimo. Ci siamo seduti sulla panchina con le spalle al parco e la strada davanti, lui era alla mia destra e faceva telefonate. A un certo punto ho sentito da dietro una persona che si avvicinava correndo e ho visto la pistola alla testa di Fabrizio. Poi il colpo esploso, un solo colpo. Mi è caduto il mondo addosso, nessuno si aspettava una cosa del genere». Parla in aula Eliobe Creagh Gomez, l'autista cubano trentatreenne testimone dell'omicidio di Diabolik, ucciso al parco degli Acquedotti il 7 agosto del 2019, nel processo davanti alla terza Corte d'assise, che vede imputato Raul Esteban Calderon. L'argentino, che segue l'udienza in videocollegamento dal carcere di Larino, è accusato di omicidio volontario aggravato dal metodo mafioso e detenzione abusiva di armi.

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LA TESTIMONIANZA

«Ho visto Fabrizio accasciarsi - ha ricostruito in aula il cubano rispondendo alle domande dei pm Rita Ceraso e Mario Palazzi - mi sono alzato, ho visto una persona che correva con la pistola in mano, una persona sportiva, più alta di me, più di 1,80. Ricordo che aveva qualcosa sul braccio e un paio di pantaloncini fino al ginocchio», ma del volto del killer l'autista di Piscitelli ha detto di non ricordare nulla. Gomez ha ripercorso nella sua testimonianza il suo rapporto con Diabolik. Nel Parco degli Acquedotti Gomez e Piscitelli c'erano stati anche il giorno prima dell'omicidio. «Eravamo andati al parco, ci siamo seduti sulla stessa panchina e anche in quell'occasione non mi ha detto nulla sul perché ci trovassimo lì. Ma a un certo punto mi ha detto che potevamo andare via perché aveva sbagliato il giorno. E ci siamo tornati il giorno dopo», ha spiegato. «Quando eravamo arrivati al parco con Fabrizio - ha ricostruito nell'aula bunker di Rebibbia Gomez - avevo visto passare Fabietti (Fabrizio, amico e socio negli affari di droga di Diabolik ndr) con la Smart, si era fermato più avanti, a 2-300 metri e lo avevo segnalato a Piscitelli che aveva annuito». Dopo l'omicidio «non sapevo che fare, la macchina di Fabietti non c'era più. Ho ripreso l'auto, volevo parlare con qualcuno, e al semaforo di via Tuscolana ho visto Fabietti e gli ho detto "è morto è morto". Fabietti - ha detto l'autista cubano rispondendo alle domande dei pm - aveva la faccia di uno quasi morto, era in macchina con un ragazzo soprannominato "il Freddo". Io gli ho detto che tornavo indietro e a quel punto ho buttato via il cellulare di Piscitelli e la sigaretta elettronica. Ma appena ho fermato la polizia gli ho detto dove li avevo gettati». A poche ore dall'omicidio «ho riconosciuto una persona nelle foto che mi sono state mostrate dagli investigatori - ha spiegato - ma il giorno stesso sono tornato a ritrattare e ho detto che non era vero quello che avevo detto, perché non stavo bene con la testa in quel momento». Fabietti «l'ho rivisto successivamente, il 24 agosto a casa sua. Dopo tutto quello che ero successo si era allontanati e volevo parlare con qualcuno».

L'INCONTRO

«Ho conosciuto Fabrizio Piscitelli tre-quattro mesi prima dell'omicidio. Lavoravo in un bar su via Tiburtina dove l'ho incontrato e sempre lì - ha detto il cubano - ho conosciuto Fabrizio Fabietti. Eravamo in un rapporto di confidenza, di amicizia io sono della Lazio, parlavamo di calcio e ci siamo avvicinati. Da subito abbiamo avuto un bel rapporto, per me rappresentava molto. In quel periodo avevo perso il lavoro, Piscitelli non aveva la patente mentre io guidavo la macchina e ho iniziato a portarlo in giro con la sua jeep Compass. Comunicavamo attraverso la app Signal. La mia mansione - ha precisato Gomez- era quella di autista, non di bodyguard. Fabrizio non aveva bisogno della sicurezza».
Valentina Errante
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