Diabolik, l'omicidio annunciato da Michele Senese: «Le sue ceneri nel brodo». Così iniziò la "guerra della Capitale”

Michele ‘o pazzo, intercettato, parlava della fine di Piscitelli. L’omicidio fu uno «spartiacque»

«Le ceneri di Diabolik nel brodo». Così Michele Senese annunciò l’inizio della “guerra di Roma”
di Valeria Di Corrado
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Giovedì 16 Marzo 2023, 08:22 - Ultimo aggiornamento: 19:28

«L'esecuzione di Diabolik ha rappresentato una sorta di spartiacque» negli equilibri della malavita romana. Un delitto su cui, secondo gli inquirenti, «aleggia la pesante impronta della famiglia Senese». Tanto che il 15 settembre 2019, un mese dopo l'assassinio, il boss della camorra Michele Senese (detto o pazzo), in un colloquio in carcere con la moglie Raffaella e il figlio Vincenzo, riferendosi alle ceneri di Fabrizio Piscitelli, dice in modo dispregiativo: «Eh, non ti posso dare un cucchiaino di polvere l'apro e ti do un cucchiaino di polvere ad ognuno ve lo mettete dentro al brodo». Secondo quanto emerge dall'attività di indagine della Squadra mobile di Roma, coordinata dai pm della Direzione distrettuale antimafia, c'è un prima e un dopo l'assassinio dell'ex capo ultrà degli Irriducibili della Lazio.

Il prima era all'insegna della "pax mafiosa": pochi spargimenti di sangue e suddivisione della città in zone di competenza per lo spaccio della droga.

Il dopo è quello che si osserva con evidenza in questi ultimi mesi, settimane, giorni: delitti, sequestri di persona, debitori torturati, agguati, tentati omicidi. L'assassinio plateale di Diabolik, commesso il 7 agosto del 2019 in pieno giorno e in un parco pubblico, «ha dato il via a un susseguirsi di tentativi di uccisione» tra il gruppo di narcotrafficanti guidato da Fabrizio Fabietti, di cui Piscitelli era "socio alla pari", e quello rappresentato da Leandro Bennato, Giuseppe Molisso e Alessandro Capriotti, definiti “lupi famelici….brutti brutti”, figliocci dei Senese. Questi ultimi erano ritenuti inizialmente i tre presunti mandanti dell'esecuzione «in stile mafioso» al Parco degli Acquedotti; realizzata, secondo l'accusa, dal killer argentino Raul Esteban Calderon, ora a processo per omicidio. Ma la Procura di Roma - non avendo raccolto sufficienti elementi indiziari - ha chiesto l'archiviazione delle loro posizioni.

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L'ALLEANZA INFRANTA

«D'altronde vi erano forti legami affaristici nel settore degli stupefacenti che univano quei contendenti prima della morte di Diabolik, ma l'uccisione di quest'ultimo - si legge nelle carte depositate nel processo di Caderon - ha rappresentato la fine di una sorta di alleanza o comunque di una pacifica convivenza tra i due gruppi. L'eliminazione fisica di uno dei capi si è tramutata in una guerra aperta "senza quartiere"». Una guerra interrotta per un po' dagli arresti dell'operazione "Grande raccordo criminale" del Gico della Finanza, che ha disarticolato il gruppo di Fabietti e Piscitelli, e dall'operazione "Spongebob" della Mobile, che ha smantellato la frangia armata degli albanesi (compreso "Titti", l'albanese che aveva sparato con il kalashnikov a casa di Capriotti, detto "er Fornaro"). Ma ora questa guerra, combattuta dalle seconde leve rimaste a piede libero, ha ripreso vigore.

Le indagini «confermano che l'omicidio di Diabolik è un segmento clamoroso, nel senso che rimanda a forme di criminalità organizzata di altissima pericolosità sociale: una malavita permeata da mutevoli dinamiche criminali, fatte di alleanze discontinue, di unioni dettate da interessi economici, perlopiù per il traffico di stupefacenti, che però possono modificarsi rapidamente, tramutandosi in conflitti; in uno scenario, quindi, attraversato da continui assestamenti e riposizionamenti per il predominio territoriale o per il delineamento dei confini». Proprio quello che starebbe avvenendo ora, con questa incontrollata escalation di violenza. «A Roma si spara quasi come a Bogotà ormai», commentano i magistrati preoccupati.

 

L'ASPIRANTE PADRINO

Secondo gli inquirenti, Diabolik è stato ucciso proprio perché «aveva scardinato gli spazi di competenza che i Senese avevano tanto faticato a tenere in piedi». Hanno contribuito a firmare la sua condanna a morte «la smania di potere e di voler comandare su tutti, al punto da fare a volte il paciere come un vero padrino», «i brutali sistemi da lui utilizzati per recuperare i crediti», «le troppe prepotenze» e «la sua quasi spasmodica avidità di denaro». Pretendeva infatti dai creditori altrui il 50% del debito, come aveva fatto con Capriotti, che doveva agli albanesi 300mila euro. Raffaele Purpo (detto "il Mafia"), a cui Piscitelli aveva fatto da testimone di nozze insieme a Gennaro Senese (fratello di Michele), lo aveva avvertito che era una "prepotenza». «Diabolik se doveva fa li ca.. sua! Mo lascia sta che quello ha solato a quelli, tu te voi anna a pija i soldi che non sono i tua (...) Perché Diabolik se li stava a pija lui la metà! Io gliel'ho detto», spiega Purpo in un'intercettazione.

IL TERRITORIO DI SENESE

E c'è chi, come il marito di Giorgia Piscitelli, arriva subito a conclusioni dopo l'omicidio del suocero, avvenuto in zona Quadraro: «Ma se è successo nel territorio dei Senese è perché pure Senese è d'accordo, perché se non fosse stato d'accordo Senese succedeva il "patatrack" subito, cioè pure loro se schieravano. Perché, no,  e mica puoi fa come c.. te pare! Che fai mi ammazzi uno dei miei, quello che sta con me e non faccio la rivolta?! Come se non fosse successo niente... Quello invece è stato un segnale che dentro il territorio suo è successo quello che è successo». Questa intercettazione conferma anche che l'omicidio di Luigi Finizio, avvenuto lunedì proprio nel feudo dei Senese, se non è stato commesso con il "lasciapassare" del clan camorristico, potrebbe far succedere il "patatrack". A maggior ragione se si pensa che "Gigio" era il cugino del cognato di Angelo Senese.

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