L’infiltrazione dei cinghiali nelle strade di Roma preoccupa sempre di più i residenti della Capitale. Non si tratta più di casi isolati. Nell’ultima settimana dell’anno piccoli gruppi di questi mammiferi selvatici sono stati visti camminare sul Lungotevere, affacciarsi su Piazza Trilussa o andare a passeggio a pochi metri dal San Camillo-Forlanini. Pochi giorni fa ha suscitato grande scalpore mediatico la notizia della possibilità della caccia ai cinghiali nelle aree urbane. Un emendamento alla Legge di Bilancio ha, infatti, aperto alla possibilità di abbattimenti di fauna selvatica per motivi di sicurezza stradale anche in aree protette e in città. Una misura che, se ben gestita, secondo Antonio Bana, avvocato, esperto in legislazione sulle armi, presidente di Assoarmieri e del centro studi di diritto europeo su armi e munizioni, potrebbe produrre effetti positivi.
Presidente Bana, cosa accadrà ora con la nuova norma sulla “caccia” in città?
“Ovviamente sono circolate parecchie fake news sull’argomento. È assurdo pensare che ora, con le nuove norme, ci sia una attività venatoria non organizzata e si possa davvero sparare appena si vede un cinghiale che circola per strada. Ovviamente questo non è vero. Sicuramente si dovrà lavorare a un protocollo, ci sono regole precise per l’attività venatoria, c’è una normativa rigorosa. Quello su cui bisogna lavorare è l’individuazione di zone apposite in cui far defluire gli animali in cui fare operare persone esperte, cacciatori autorizzati e con una tipologia di arma idonea all’abbattimento dei cinghiali”.
A Roma si vive una situazione di attenzione e tensione particolare per il diffondersi dei cinghiali sul territorio cittadino. Pensa che questi protocolli di sparo possano essere utili?
“Bisogna innanzitutto comprendere che una corretta gestione dell’attività venatoria può aiutare ad affrontare il problema. Non siamo di fronte a un Far West, non è una caccia all’arma bianca nel modo più assoluto, è un contenimento programmato e che soprattutto ha un valore alimentare, ha un valore di salute, un valore di tutela ambientale. Questo tipo di impostazione può portare a usare anche la selvaggina sul banco alimentare, attraverso una preventiva analisi degli istituiti zooprofilattici e dei veterinari che dovranno acconsentire alla possibilità di creare una filiera alimentare, così come avviene in tutti i Paesi europei”.
Esistono situazioni in cui sono stati applicati protocolli di sparo a ridosso delle aree cittadine?
“Posso portare l’esempio della Regione Lombardia e del territorio della provincia di Bergamo dove a seguito del manifestarsi del problema dei cinghiali per le coltivazioni di frumento e vitigni che sono parte di un Made in Italy e di una agricoltura da tutelare, si sono creati dei punti sparo nelle zone fuori dai paesi, nelle zone di campagna anche vicino ai centri abitati ma con una mappatura delle stesse dove - previa iscrizione di cacciatori abilitati - si è consentito l’abbattimento di cinghiali con una apertura h24 dei centri di verifica e dei centri di distribuzione della carne da selvaggina per chiudere il cerchio in una filiera alimentare corretta”.
Come nasce l’emergenza cinghiali?
“In Italia le popolazioni di suini selvatici stanno crescendo a dismisura.