Nomi falsi e reati veri: ricerche illegali nel sistema dell'Ufficio intercettazioni della Procura, effettuate utilizzando le password di colleghi, per rivelare sottobanco - e a pagamento - informazioni segrete. Ma anche escamotage per sviare i controlli: segnali in codice, pagamenti in contanti per non lasciare traccia, comunicazioni criptate tramite app difficili da intercettare. E, soprattutto, l'anonimato completo. Dall'inchiesta che ha fatto finire in carcere per corruzione la praticante avvocato Camilla Marianera e il fidanzato Jacopo De Vivo, emergono i trucchi utilizzati dalla talpa di piazzale Clodio per depistare gli accertamenti su quello che gli inquirenti descrivono come un «protocollo criminale» andato avanti per almeno due anni, e che l'aspirante legale definisce una «modalità alternativa» per ottenere informazioni.
I TRUCCHI
I carabinieri, coordinati dai pm Giulia Guccione e Francesco Cascini, stanno cercando di identificare il funzionario dell'Ufficio intercettazioni che, in cambio di 200 euro a pratica, avrebbe rivelato alla Marianera dati sensibili su indagini in corso.
Per portare avanti un rapporto così pericoloso - e remunerativo - vengono rispettate regole rigorose. La praticante non deve chiamare in continuazione la fonte, ma deve raccogliere le richieste e presentarle tutte insieme, con cadenza trimestrale. Poi, deve attendere istruzioni. Per sapere quando incontrarsi c'è un codice: tre telefonate che arrivano sul telefono della Marianera da un'utenza anonima. Nessuna conversazione diretta e incontri limitati, per impedire «di fare della quotidianità un elemento di rischio», scrive il gip. E ancora: pagamenti solo in contanti, per evitare di attirare sospetti. Nell'ordinanza si legge che il funzionario «avrebbe fatto un controllo - che gli indagati chiamano "check", ndr - almeno su 10 nomi, di cui due sarebbero risultati sotto intercettazione».
Ma la talpa all'Ufficio intercettazioni, secondo i pm, non era l'unica. Ci sono altri 5 indagati tra Procura e Tribunale. Il gip sottolinea che «i canali di cui si avvalgono gli indagati per attingere notizie riservate sono plurimi». Nell'ordinanza si accenna, per esempio, a «rapporti opachi con soggetti che esercitano funzioni amministrative al Tribunale di sorveglianza».
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