Asilo nido a Roma, rette alte e orari ridotti: i ritardi delle strutture comunali. «Così è meglio portare i figli dai privati»

Oltre 400 euro al mese per un posto

Rette alte e orari ridotti: i ritardi dei nidi comunali. «Così è meglio portare i figli dai privati»
di Fabio Rossi
3 Minuti di Lettura
Martedì 10 Gennaio 2023, 01:05

Rette troppo alte, quasi ai livelli delle strutture private, a cui fanno da contraltare i lati positivi, ma anche i “contrattempi” del servizio pubblico: orari rigidi (e spesso non abbastanza lunghi), minore disponibilità a venire incontro alle esigenze delle famiglie. Fino a qualche anno fa il problema degli asili nido comunali erano le liste d’attesa, con famiglie costrette a pazientare a lungo per poter iscrivere il loro piccolissimo figlio (tra i sei mesi e i tre anni di età). Oggi - complice il calo demografico che ha investito anche la Capitale, oltre a un incremento graduale dei posti disponibili - l’accesso ai nidi capitolini è un problema molto ridotto. Tanto che negli anni passati sono stati fatti anche bandi supplementari, ad anno educativo in corso, per assegnare posti rimasti vacanti in alcune strutture.

Roma, scuole con ripresa ad ostacoli tra sciopero delle educatrici e docenti malati. I presidi: «Il 10% degli insegnanti ha l'influenza»

I PUNTI

Ma i nidi comunali continuano a essere un punto dolente per tanti romani.

Negli anni passati più amministrazioni - da Ignazio Marino a Virginia Raggi - avevano promesso una rimodulazione degli orari. Che invece, nella stragrande maggioranza dei casi prevedono l’uscita al massimo tra le 16 e le 17, con un’ulteriore stretta che ha caratterizzato gli anni immediatamente successivi al lockdown per la pandemia da Covid. Tutto ciò a fronte di rette aumentate negli ultimi dieci anni, in media, del 47 per cento. Tanto che nuclei familiari con due stipendi vanno a pagare oltre 400 euro al mese: poco meno di quanto chiedono molte strutture private. «Capisco che gli asili nido siano non siano scuola dell’obbligo, e che quindi vadano pagati - sottolinea Antonella, leader di un comitato di mamme del quartiere Nomentano - Ma se vengono considerati un servizio alle famiglie, con rette mensili da centinaia di euro, andrebbero tarati sui nostri bisogni». E invece, sbotta Francesca Proietti, che ha il figlio iscritto a un nido di Monte Sacro, «abbiamo casi di bambini non ammessi per cinque minuti di ritardo, o rimandati a casa per scioperi e assemblee di cui ci vengono date in anticipo solo vaghe informazioni». Con i Covid, poi, «alcune educatrici hanno applicato troppo rigidamente le (giuste) norme anti-contagio, mandando a casa bambini per un po’ di muco nel naso, che a quest’età hanno molto spesso». In questa situazione, spiega Antonella, «chi può spende un po’ di più e manda i figli ai nidi privati». A Roma le realtà educative dedicate all’infanzia sono circa 830, di cui il 22,8 per cento sono private e il 48 per cento convenzionate con l’amministrazione comunale.

LE NOVITÀ

Il Campidoglio, nel frattempo ha esteso la possibilità di fare domanda anche a chi è soltanto domiciliato all’interno del territorio della Capitale (senza essere residente all’anagrafe) e «ai soggetti meritevoli di tutela e privi di codice fiscale», compresi nell’ordinanza del sindaco che riconosce la residenza «a coloro che si trovano in condizioni di svantaggio economico e sociale». Cambiano anche i criteri di attribuzione dei punteggi: verrà ridotta la distanza di punteggio fra le famiglie che hanno entrambi i genitori lavoratori e quelle in cui a lavorare è solo uno dei due. Sarà inoltre ampliata la definizione di lavoratore e lavoratrice: saranno inclusi anche gli autonomi, le partite Iva, i tirocinanti, chi ha borse di studio o di ricerca. «Un piccolo ma fondamentale tassello della strategia complessiva di promozione dell’occupazione femminile - spiega l’assessora capitolina alla scuola, Claudia Pratelli - troppo spesso sacrificata proprio dalle difficoltà di conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA