Rette troppo alte, quasi ai livelli delle strutture private, a cui fanno da contraltare i lati positivi, ma anche i “contrattempi” del servizio pubblico: orari rigidi (e spesso non abbastanza lunghi), minore disponibilità a venire incontro alle esigenze delle famiglie. Fino a qualche anno fa il problema degli asili nido comunali erano le liste d’attesa, con famiglie costrette a pazientare a lungo per poter iscrivere il loro piccolissimo figlio (tra i sei mesi e i tre anni di età). Oggi - complice il calo demografico che ha investito anche la Capitale, oltre a un incremento graduale dei posti disponibili - l’accesso ai nidi capitolini è un problema molto ridotto. Tanto che negli anni passati sono stati fatti anche bandi supplementari, ad anno educativo in corso, per assegnare posti rimasti vacanti in alcune strutture.
I PUNTI
Ma i nidi comunali continuano a essere un punto dolente per tanti romani. Negli anni passati più amministrazioni - da Ignazio Marino a Virginia Raggi - avevano promesso una rimodulazione degli orari. Che invece, nella stragrande maggioranza dei casi prevedono l’uscita al massimo tra le 16 e le 17, con un’ulteriore stretta che ha caratterizzato gli anni immediatamente successivi al lockdown per la pandemia da Covid. Tutto ciò a fronte di rette aumentate negli ultimi dieci anni, in media, del 47 per cento. Tanto che nuclei familiari con due stipendi vanno a pagare oltre 400 euro al mese: poco meno di quanto chiedono molte strutture private. «Capisco che gli asili nido siano non siano scuola dell’obbligo, e che quindi vadano pagati - sottolinea Antonella, leader di un comitato di mamme del quartiere Nomentano - Ma se vengono considerati un servizio alle famiglie, con rette mensili da centinaia di euro, andrebbero tarati sui nostri bisogni». E invece, sbotta Francesca Proietti, che ha il figlio iscritto a un nido di Monte Sacro, «abbiamo casi di bambini non ammessi per cinque minuti di ritardo, o rimandati a casa per scioperi e assemblee di cui ci vengono date in anticipo solo vaghe informazioni». Con i Covid, poi, «alcune educatrici hanno applicato troppo rigidamente le (giuste) norme anti-contagio, mandando a casa bambini per un po’ di muco nel naso, che a quest’età hanno molto spesso». In questa situazione, spiega Antonella, «chi può spende un po’ di più e manda i figli ai nidi privati». A Roma le realtà educative dedicate all’infanzia sono circa 830, di cui il 22,8 per cento sono private e il 48 per cento convenzionate con l’amministrazione comunale.
LE NOVITÀ
Il Campidoglio, nel frattempo ha esteso la possibilità di fare domanda anche a chi è soltanto domiciliato all’interno del territorio della Capitale (senza essere residente all’anagrafe) e «ai soggetti meritevoli di tutela e privi di codice fiscale», compresi nell’ordinanza del sindaco che riconosce la residenza «a coloro che si trovano in condizioni di svantaggio economico e sociale». Cambiano anche i criteri di attribuzione dei punteggi: verrà ridotta la distanza di punteggio fra le famiglie che hanno entrambi i genitori lavoratori e quelle in cui a lavorare è solo uno dei due. Sarà inoltre ampliata la definizione di lavoratore e lavoratrice: saranno inclusi anche gli autonomi, le partite Iva, i tirocinanti, chi ha borse di studio o di ricerca. «Un piccolo ma fondamentale tassello della strategia complessiva di promozione dell’occupazione femminile - spiega l’assessora capitolina alla scuola, Claudia Pratelli - troppo spesso sacrificata proprio dalle difficoltà di conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro».
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