Tutto è nato da una emoticon di troppo inviata su Instagram. «Non volevo picchiarlo, ma solo deriderlo» e anche «fargli fare una brutta figura» con la ragazza che gli piaceva. Con queste parole, lo scorso 28 dicembre, uno dei baby bulli che nel maggio del 2021 hanno picchiato selvaggiamente un ragazzino disabile di 17 anni riprendendo il violento pestaggio con un cellulare e postandolo sui social, ha cercato di ridimensionare le accuse di lesioni aggravate a suo carico. Non è stato l’unico a parlare con gli agenti della Questura: anche altri due indagati - in tutto sono 6, compresa una ragazza - hanno deciso di ammettere, parzialmente, le contestazioni e scusarsi. «Avevo 14 anni, ero immaturo», ha proseguito il primo, che ha dichiarato di avere organizzato la trappola nella quale è caduta la vittima: il diciassettenne aveva un debole per la fidanzatina dell’indagato e lui ha raccontato di essersi spacciato per la ragazza - finita pure lei sotto inchiesta - e di avergli dato appuntamento alla stazione Partigiani, contattandolo attraverso Instagram. «Volevamo dargli una lezione», hanno detto gli indagati. Il motivo di tanto astio? Lo spiega il “capobranco”: «Aveva commentato con delle faccine emoticon alcune storie della mia ragazza, mi sono ingelosito, per questo ho deciso di deriderlo», ha detto.
L’APPUNTAMENTO
All’appuntamento si era presentato insieme alla giovane e alla banda di amici, «avevo detto loro di reggermi il gioco». L’obiettivo era umiliare il diciassettenne.
LA SPEDIZIONE
Il ragazzino sostiene di non avere partecipato al pestaggio, ma di avere organizzato la spedizione: all’appuntamento erano andati in sei. «Ho detto a tutti che dovevamo deridere un ragazzo, chiedendo loro di tenermi il gioco. Poi ci siamo avvicinati alla stazione Partigiani e ho detto a tutti di mettersi dietro di me senza farsi vedere», ha raccontato. Gli indagati dicono di non sapere che la vittima aveva una disabilità: «Pensavo avesse più vent’anni, in quella circostanza non mi sono accorto delle sue difficoltà». Il legale dell’adolescente indagato, l’avvocato Alessandro Cacciotti, ha dichiarato: «Il mio assistito è mortificato, faremo un’offerta risarcitoria alla famiglia». Anche gli altri due ragazzini che hanno deciso di rispondere alle domande degli inquirenti hanno cercato di ridimensionare la vicenda sostenendo di essere pentiti e di avere fatto «una bravata». Uno di loro, assistito dall’avvocato Filippo Valle, ha scritto una breve lettera per scusarsi.