La fabbrica di cioccolato più antica di Roma compie 100 anni: «Sopravvissuti al Covid e alla guerra»

«Oggi per arrivare qui si entra in un vicolo da via Tiburtina, ma un tempo avevamo il negozio su strada. È stato bombardato», racconta il titolare Fabrizio De Mauro

La fabbrica di cioccolato più antica di Roma compie 100 anni: «Sopravvissuti al Covid e alla guerra»
di Alessandro Rosi
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Domenica 26 Febbraio 2023, 10:14 - Ultimo aggiornamento: 17:19

Si esce sporchi di cioccolata da Said, la più antica fabbrica di cioccolato a Roma. «Cospargiamo i nostri piatti con la cioccolata perché devi sporcarti», spiega il titolare Fabrizio De Mauro. Un piacere irresistibile, anche per le persone più attente. «Una sera abbiamo avuto come ospite una signora che era il vice sindaco di Roma all’epoca. È entrata qui che sembrava una regina, tutta sulle punte. Com’è uscita? Con le dita piene di cioccolato». Aperti dal 1923, quest’anno spengono 100 candeline festeggiate con l’apertura di un negozio a Riyad (la capitale dell’Arabia Saudita), dopo aver già conquistato Dubai, Doha e Londra. «Quando abbiamo aperto in Inghilterra ci hanno detto che la nostra cioccolata era tra le più vendute nella capitale», svela Carla, sorella di Fabrizio. Un’azienda familiare, che affonda le proprie origini in Puglia.

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La famiglia De Mauro

«Mio nonno aveva quattro fratelli – racconta Fabrizio –.

Avevano i nomi delle vocali. Aldo, Ebbe, Ildo, Oscar e Ugo. Erano di Foggia. Di questi 5 fratelli, solo due sono venuti a Roma: mio nonno Aldo e Oscar (che era il padre del glottologo Tullio e del giornalista dell’Ora di Palermo Mauro, rapito e mai più ritrovato). Era un chimico». Mestiere che ha aiutato la fabbrica di cioccolato, dove un tempo si vendeva anche altro. «All’epoca producevamo le caramelle, e le ricette (e le analisi chimiche) erano supervisionate da lui».

Il nome e il fascismo

SAID, però, non sempre si è chiamata così. Originariamente aveva un nome diverso: Saie, ovvero società anonima italo-elvetica. Perché? «Mio nonno aveva un socio svizzero ebreo e avevamo una sede a Berna – spiega Fabrizio –.  Nel momento in cui la tensione sociale è iniziata a salire con la guerra, il socio ebreo non è venuto più in Italia. Poi, durante il Ventennio fascista, Mussolini ha proibito le collaborazioni con paesi neutrali o nemici. Di conseguenza la Saie è diventata Said, società, prima anonima poi azionaria, industria e dolciumi». Ma la guerra non cambia solo il nome alla fabbrica.

Il bombardamento

«Oggi per arrivare qui si entra in un vicolo da via Tiburtina, ma un tempo avevamo il negozio su strada». È il 19 luglio del 1943, Aldo, il nonno di Fabrizio, frequenta il liceo Giulio Cesare. Siamo a Roma nord, distanti dalla sede della fabbrica, dove invece sta per cominciare una catastrofe. I bombardieri americani sganciano 4000 ordigni. L’obiettivo è un punto nevralgico, lo scalo di San Lorenzo, ma sarà colpito molto di più. «Mio nonno non sapeva cosa fosse successo, quando però è arrivato con il tram all’arco di Santa Bibiana ha visto la devastazione. E allora ha pensato di aver perso tutto». Anche gli affetti più cari. Ma nella nube di fumo trova sollievo. «Si è incontrato con mia nonna tra le macerie e lì si sono abbracciati». Della fabbrica non tutto, però, era salvo. «Il palazzo che era su strada è crollato. È lì che avevamo il negozio. La porta di oggi, invece, è dove si trovava originariamente la fabbrica, che è ancora in piedi».

 

I segreti e le vite salvate

La fabbrica nasconde alcuni segreti che hanno salvato la vita a centinaia di persone. «Sotto il pavimento dove stiamo parlando c’è una botola», rivela Fabrizio. «San Lorenzo è piena di cunicoli. Quando è stata bombardata, mia nonna ha accolto chi poteva qui sotto perché c’era un rifugio anti aereo. Mi ha raccontato che non ha fatto in tempo a chiudere la serranda che il palazzo di fronte è crollato».

La riscoperta dell'artigianato

Con l’avvento della grande distribuzione, la fabbrica cambia volto. «Abbiamo deciso di essere artigiani. Anche perché c’è stato un momento in cui si parlava di “più latte, meno cacao”. Si credeva fosse più sano (ma anche perché l’aggiunta di latte abbatteva i costi, visto che il cacao è più costoso). Una campagna che, però, ci ha danneggiati». Fabrizio convince il padre Bruno a rivoluzionare tutto. «Abbiamo ridotto il comparto industriale e trasformato la vecchia fabbrica in un concept del cioccolato a 360 gradi, coinvolgendo tutti i sensi. Abbiamo anche un ristorante che fa ricette con il cioccolato, come il cinghiale in dolce forte che viene fatto con il cacao e i cocktail al cioccolato».

Un museo dell'archeologia

«Qui la gente prende la cioccolata su un tavolo dell’Ottocento dove si faceva il caramello». C’è chi lo definisce un vero e proprio museo. «Abbiamo esposta un’archeologia industriale». Come gli stampi di acciaio a muro, che ora non si possono usare più (ndr, per una questione acustica), e l’incartatrice dell’Acme Bologna, leader mondiale del settore. «È stata una scelta di recupero industriale vincente: siamo stati menzionati su diverse riviste di arredamento».

Un cioccolato per tutti 

Il cioccolato, si sa, è molto costoso. San Lorenzo, invece, nasce come quartiere popolare. Com’è riuscita una fabbrica a sopravvivere tutto questo tempo? «A Pasqua lo comprano tutti. È quello il momento in cui ti ricongiungi con qualsiasi livello sociale. Mi ricordo da piccolo che la fabbrica si riempiva di gente, tutti portavamo amici e parenti per aiutare a lavorare». Appesa c’è anche una forma di uovo gigante. «Arrivavamo a fare uova di Pasqua di circa 15 kg». Un prodotto reso quindi più popolare e accessibile. «Su questo siamo iconici. Per noi la cioccolata non è un gioiello, è qualcosa che devi vivere. Ti deve dare gioia».

Oltre 60 gusti di cioccolatini

Ci sono oltre 60 tipi di cioccolatini da Said, per tutti i gusti. «A me piace il cioccolato fondente - risponde Fabrizio -. Mi diverto poi con i crunchy e quelli allo zenzero. E mangio spesso quello con il rosmarino». I cioccolatini più venduti? «Il cremino, quello al pistacchio e quello al peperoncino», specifica una dipendente della fabbrica. Cos'ha di speciale questo posto? «Quando varchi la soglia, capisci tutto al primo sguardo. È come vedere una donna con il Botox e una con le rughe – conclude Carla –. Le rughe raccontano una storia. Questa atmosfera avvolgente ti cattura. Questo luogo ha una sensazione magica».

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