Roma, risplende la cupola gioiello del rione Monti, tra colori, foglie d'oro e angeli ritrovati

La Soprintendenza ha concluso il cantiere su affreschi e stucchi nella chiesa di Santa Maria ai Monti

nella foto la cupola restaurata di Santa Maria ai Monti
di Laura Larcan
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Giovedì 2 Febbraio 2023, 09:02

Gli sguardi sembrano lanciare una sfida. Giocano con lo spettatore, sfoggiando una gestualità ardita nelle mani, e osando con eleganza persino pose ammiccanti. Gli angeli affrescati nel 1599 sulla cupola-gioiello della famosa chiesa di Santa Maria ai Monti, scrigno d’arte e cuore della devozione popolare, sono ora un’autentica rivelazione. Sono riaffiorati sotto strati secolari di polveri e depositi grassi di nerofumo. Ma soprattutto, sono stati liberati dalle incrostazioni di sali lasciate dalle infiltrazioni d’acqua.

 

«Non si distinguevano più i dettagli delle figure, perse sotto una crettatura diffusa di nerofumo grasso, amplificata dalla patina di sporco - indica la restauratrice Maria Milazzi - Ora gli affreschi sembrano brillare di luce propria: le figure e le scene hanno ritrovato i colori originali, una tavolozza di rosa, gialli, blu, verdi, svelando ora un’inedita armonia decorativa tra dipinti, stucchi fortemente a rilievo, dorature e forme architettoniche concepita e realizzata alla fine del Cinquecento».

Il cantiere è di quelli che tolgono il fiato. I ponteggi all’interno della chiesa parrocchiale del rione Monti, famosa per custodire l’immagine miracolosa della Madonna, salgono titanici fino a trenta metri d’altezza, a sfiorare i limiti della calotta e del lanternino.

Qui, l’équipe della Soprintendenza di Roma, diretta da Daniela Porro, ha portato a termine il restauro dopo oltre un anno di lavori. Dalla settimana prossima comincerà lo smontaggio delle impalcature, per svelare al grande pubblico un tesoro praticamente sconosciuto, nascosto per decenni dietro una rete montata per raccogliere i distacchi diffusi dalla cupola. Lo spettacolo sarà completo per i primi di marzo. «La Soprintendenza con questo restauro rende giustizia a un esempio mirabile dell’arte a Roma tra Rinascimento e Barocco - spiega nel dettaglio Daniela Porro – La decorazione della cupola di Santa Maria ai Monti si presenta come un’opera collettiva, un fitto dialogo tra le arti, scultura, pittura, architettura, cui hanno partecipato numerosi artisti tra cui Orazio Gentileschi e Cesare Nebbia. I colori, le forme, le volumetrie tornano finalmente leggibili ai fedeli e ai visitatori, arricchite da una nuova illuminazione».

Proprio il grande pittore Orazio Gentileschi (padre di Artemisia) diventa la sorpresa in questa vertigine di bellezza sospesa sull’aula centrale della chiesa, rivestita dal ciclo di affreschi dedicato alla vita di Maria. La sommità della cupola prevede otto scene mariane all’interno di raffinate cornici di stucco e dorature, che coincidono con le partiture architettoniche. In corrispondenza, nel registro superiore, sfilano otto angeli musicanti eseguiti tutti con una tecnica avanzata ad affresco.

Dalle note di spesa dei registri contabili conservati nell’archivio storico del Vicariato si sapeva che quattro angeli erano stati pagati a Cesare Nebbia e altri quattro a Orazio Gentileschi. Fino ad oggi le attribuzioni erano solo ipotetiche: «Ora con la pulitura delle figure sono riemersi i caratteri stilistici degli artisti e possiamo identificarli - osserva la storica dell’arte Ilaria Sgarbozza - Sono riconducibili a Gentileschi gli angeli con l’arpa, il liuto, il flauto e i campanelli, per quella originalità degli sguardi ammiccanti, le pose più ardite quasi provocatorie. Orazio qui segue i canoni manieristici per aprirsi alla svolta naturalistica, preannunciando nei volti e nei corpi la lezione caravaggesca. È il momento in cui la forza naturalistica si afferma».

La storia dell’arte qui si respira con l’aria. Santa Maria ai Monti d’altronde risente della spirito della controriforma, è il primo esempio di passaggio dal tardo Rinascimento al primo Barocco, concepita ad aula unica longitudinale con cappelle laterali, concentrando l’attenzione sulla zona absidale. A progettarla, Giacomo della Porta allievo di Michelangelo, su incarico di Gregorio XIII. «Fu un cantiere lampo - avverte l’architetto Alessandra Centroni - tra marzo e ottobre del 1599, in tempi rapidissimi, una squadra di pittori guidata da Cesare Nebbia mise in campo un programma iconografico dedicato a Maria. Dobbiamo immaginarlo come un cantiere frenetico dove si alternavano squadre di artisti, stuccatori e doratori, per finire tutto per il Giubileo del 1600». Non a caso sono state trovate le foglie d’oro originali, coperte dai restauri ottocenteschi.

Il lavoro è iniziato dai pennacchi in stucco con le scene affrescate dei quattro evangelisti fino ad oggi attribuiti al Casolani, riconosciuto ora come Paolo Guidotti. Nell’alto tamburo le quattro statue dei profeti hanno rivelato la loro fattura in legno. Fino agli affreschi mariani. «Tante le sorprese - confessa la restauratrice Cristina Vazio - Il restauro ha riportato a vista le figure di tutte le scene, dalla Natività alla Visitazione. Sotto i riquadri sono spuntate anche le scritte autografe lasciate dagli artisti in cui appuntano il titolo della scena. Abbiamo ripristinato tutto lo sfondo bianco dello stucco cinquecentesco prima completamente annerito. E abbiamo scoperto che i volti degli angeli in stucco sono stati fatti a mano libera e non a calco. Ognuno è diverso dall’altro».

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