Vinitaly, maxi-rissa per gli stand: imprenditori romani finiscono a processo

Vinitaly, maxi-rissa per gli stand: imprenditori romani finiscono a processo
di Marco Carta
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Mercoledì 25 Aprile 2018, 09:39

Una passione di famiglia che risale addirittura al 1880. Ma soprattutto l'ambizione di far conoscere a un pubblico sempre più vasto i propri vini, tra i quali spicca il pluripremiato Heredio Frascati superiore. Aristide Gasperini e suo figlio Bruno, i titolari della gloriosa azienda vinicola Casale Vallechiesa, nel 2016 speravano che Vinitaly, la fiera del vino di Verona, fosse l'occasione giusta per mettersi in mostra. Ma, dopo aver scoperto che la posizione del proprio stand espositivo non sarebbe stata delle migliori, anzi relegata in un un'area vicino ai bagni, hanno perso la testa, ingaggiando un duello fisico con un altro imprenditore del settore, preso di mira per aver fatto una battuta sarcastica, poco gradita in un momento di tensione. Bilancio 40 giorni di prognosi per il concorrente.
La vicenda si sarebbe chiusa cosi con una vera e propria aggressione, almeno secondo la procura di Roma, che adesso costa ad Aristide e a suo figlio Bruno l'accusa di lesioni in un processo di fronte al giudice monocratico.

I FATTI
I fatti risalgono al marzo del 2016 quando, nel corso di una riunione fra le aziende vinicole presso la sede dell'Arsial, l'Agenzia regionale per lo Sviluppo e l'Innovazione dell'Agricoltura del Lazio, i Gasperini scoprono che la propria azienda è stata confinata in una zona sfavorevole all'interno del padiglione di Vinitaly dedicato ai produttori del Lazio. A determinare l'incresciosa situazione è di fatto un errore di comunicazione: la disposizione degli stand viene stabilita e assegnata in funzione della data di pagamento del bonifico, che conferma l'adesione dei produttori alla manifestazione, prevista poche settimane dopo in Veneto. Una clausola di cui non tutti erano stati messi al corrente. Di sicuro non i Gasperini: «Se lo avessimo saputo prima avremmo pagato immediatamente», dicono loro, mentre nella sala in via Rodolfo Lanciani qualcuno ironizza. E' Stefano Paffetti, un altro imprenditore del settore, che si lascia scappare una battuta, forse per stemperare gli animi: «Avevo detto che chi pagava dopo finiva vicino agli spogliatoi».

LE CAUSE
Ieri mattina i fatti di due anni fa, che hanno portato alla presunta aggressione, sono stati ricostruiti in aula. Paffetti ha risposto alle domande del pubblico ministero d'udienza Donatella Plutino, e ha spiegato che si trattava solo di una battuta, ma che le sue parole erano state fraintese. «Non volevo prendere in giro nessuno - ha ribadito davanti al Tribunale - stavo solo scherzando e non pensavo di suscitare una simile reazione. Non me lo sarei mai aspettato».

E invece quando l'assemblea all'Arsial si era sciolta, i Gasperini lo avrebbero aspettato al varco. Erano infuriati, sostenevano di avere sentito chiaramente la parola «cessi». E così dalle botti si era passati alle botte.
Secondo l'accusa, i due, «colpendolo ripetutamente con calci e pugni al volto ed alle mani», avrebbero cagionato a Paffetti ferite «guaribili in oltre 40 giorni consistite in trauma della mano destra, della piramide del naso e delle ossa proprie del naso». Tutto confermato da un referto che adesso costa ai due imprenditori del vino un processo per lesioni.
 
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