Roma, vigilante sparò e uccise il rapinatore in fuga: «Fu omicidio volontario»

Roma, vigilante sparò e uccise il rapinatore in fuga: «Fu omicidio volontario»
di Adelaide Pierucci
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Venerdì 2 Marzo 2018, 07:41 - Ultimo aggiornamento: 3 Marzo, 10:47
L'appello: chiamate la polizia, chiamate. E poi una serie di colpi, cinque spari, contro i tre rapinatori in fuga, di cui uno centrato e ucciso sul colpo, e un altro colpito di striscio. S'aspettava una medaglia il vigilante che una mattina di maggio del 2014, dopo essere stato tenuto sotto tiro dai banditi nel Monti di Paschi di Siena, a Ostia, dove era tenuto a garantire la sicurezza, si era riuscito a liberare e a rincorrerli con la pistola in pugno. Sperava di farli arrestare, recuperare il bottino, 14mila euro si scoprirà poi, e dignità, visto che era stato immobilizzato nel gabbiotto e tenuto sotto tiro, mentre loro ripulivano le casse. La giustizia, invece, ha previsto altro. Sarà processato in corte di Assise per omicidio volontario. Nessuna attenuante. La procura era convinta che Stefano Salmoni, 40 anni, vigilante di esperienza, quel giorno in servizio solo nell'istituto bancario, avesse agito per legittima difesa, perché tenuto per qualche secondo sotto la minaccia della pistola di uno dei tre rapinatori anche fuori dalla banca. La ricostruzione, però, è stata sconfessata dal gip Francesco Patrone, convinto che la guardia giurata abbia fatto fuoco, uno due tre fino a cinque volte, ad altezza d'uomo e su uomini in fuga, uccidendo Gianluca Igliozzi, 35 anni, tre figli e diversi precedenti penali.

LA RICOSTRUZIONE
Un caso controverso, anche giuridicamente. I pm Laura Condemi e Edmondo De Gregorio chiuse le indagini avevano chiesto l'archiviazione delle accuse per il vigilante. Moglie e genitori della vittima, assistiti dall'avvocato Antonino Lastoria, però, si erano opposti. «Non c'era necessità di sparare», sostenevano. Il giudice per le indagini, raccolte testimonianze e perizie, aveva optato allora per l'imputazione coatta per l'imputato convinto che avesse agito prevedendo pienamente l'azione, mentre la procura convinta dell'innocenza era tornata a chiedere il non luogo a procedere. Ma dalla sperata assoluzione l'indagato, ieri, si è ritrovato a processo per omicidio. «Ha sparato a distanza ravvicinata e altezza d'uomo, su uomini in fuga», ha chiuso il caso il gip. E se qualcuno, potrebbe aver brandito una pistola mentre fuggiva circostanza non confermata di certo non era stato il bandito ucciso, centrato alla spalla e all'addome a sei metri dalla banca e accasciatosi a trenta metri.
La sua Beretta è stata ritrovata risposta dentro il giubbotto. E il proiettile trovato accanto non era esploso. Durante quei colpi sparati allo sbaraglio (secondo le parti civili) era rimasto ferito anche un altro rapinatore, l'unico poi individuato. «Così come non può esservi alcun dubbio in ordine alla responsabilità della persona deceduta - ha specificato il giudice - relativa al grave delitto di rapina a mano armata, sembra che non possano sussistere dubbi nemmeno sulla responsabilità della guardia giurata per l'omicidio». «È evidente - ha concluso - che venendo meno la sussistenza della necessità da parte di Salmoni di difendere la propria incolumità, dal momento che l'Igliozzi non aveva cercato di sparare subito nei confronti del Salmoni e si era dato alla fuga, solo nel corso della quale forse aveva provato a rispondere al fuoco, non vi è spazio alcuno per ritenere applicabile la scriminante della legittima difesa».
 
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