Roma, viaggio nel Forlanini abbandonato: dopo la morte di una 16enne per overdose niente è cambiato

I giardini dell'Ospedale Forlanini
di Raffaele Nappi
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Mercoledì 7 Dicembre 2016, 09:25 - Ultimo aggiornamento: 20:09

Una discarica a cielo aperto, rifugio per nomadi, sbandati e senzatetto. Benvenuti all’ospedale Forlanini di Roma, 125 mila metri quadrati tra la Portuense e piazza Forlanini, dove l’abbandono regna sovrano. La struttura è stata chiusa già da diversi anni, ma di riqualificazione neanche l’ombra. In più punti si contano cumuli di rifiuti, accatastati in quelli che un tempo erano gli splendidi giardini della struttura, la prima in Italia nata per curare la Tubercolosi, inaugurata il 10 dicembre 1934, che in quegli anni rappresentava un modello all’avanguardia in Europa per la cura della malattia. Dei numerosi padiglioni, però, solo uno è rimasto attivo: al suo interno l’ambulatorio di Medicina Nucleare e lo Studio del flusso coronarico. Vi si accede percorrendo la gloriosa aula magna, ora vuota e abbandonata, infestata dai lasciti dei piccioni.



La decisione della chiusura, presa sotto la giunta Marrazzo nel 2008, è stata portata avanti poi con Zingaretti: i tagli sono stati netti, lineari. «Da un giorno all’altro i padiglioni sono stati definitivamente chiusi», spiegano i dipendenti. Il risultato? Rifiuti, letti, computer, costosissimi macchinari per le cure lasciati marcire tra le corsie. Le stesse gare d’appalto vinte dalle ditte erano talmente basse che, alla fine, era difficile smaltire il tutto. Lo confermano i dipendenti. «Ogni tanto arrivano, tolgono qualche mucchio, ma basta poco per far tornare le cose come prima». Ad oggi nel Forlanini lavorano un centinaio, in totale, tra medici, infermieri e personale di ditte che hanno vinto vari appalti legati all’ospedale.
 

RIFUGIO PER SENZATETTO - Col tempo i padiglioni abbandonati sono diventati rifugio per nomadi, sbandati e senzatetto. Dopo la morte di Sara Bosco, la ragazza sedicenne che qui è stata trovata senza vita dopo un’overdose, è vero, i controlli sono aumentati. Ma non basta. Ogni tanto girano ronde di forze dell’ordine, ma qualcuno ancora riesce ad entrare. L’ingresso posteriore, quello di via Portuense, è stato chiuso, «proprio per risparmiare sulla vigilanza», raccontano i dipendenti. Rimane aperto, e vigilato, quello di via Bernardo Ramazzini, da piazza Forlanini.

I pazienti che qui devono arrivare per fare una scintigrafia sono completamente spaesati. L’ufficio informazioni è chiuso da mesi. Vagano per le corsie, cercano la sala magna: le indicazioni sono attaccate al muro con dello scotch. A cambiare non è neanche l’atteggiamento del gruppo dirigente. Sono gli stessi lavoratori a confermarlo. «Ci fanno buttare al macero dei letti nuovi, difettosi per graffi da 3 centimetri. Anche questo ci ha portati alla situazione in cui ci troviamo. Si poteva riparare, risparmiare, riutilizzare questo materiale con pochi euro, ma non ci hanno dato ascolto».

UN VIAGGIO ALL’INFERNO - Camminare tra i padiglioni significa immergersi in un altro mondo. Un tempo qui c’erano una biblioteca, un museo, un teatro e un cinema con sala da 800 posti. Senza contate spazi per le lezioni destinati agli specializzandi e infrastrutture di servizio decisamente all’avanguardia. Oggi si fanno i conti con vetri rotti, cancellate, ringhiere di ferro tra le corsie per evitare che qualcuno ritorni. Dopo lo sgombero del giugno scorso tutto è rimasto com’era. Nelle stanze del primo padiglione, quello ancora attivo, quello messo meglio, si contano vestiti, coperte, medicinali scaduti e abbandonati, ma ancora siringhe, sangue rattrappito, bottiglie, estintori divelti, ricette medicinali, prescrizioni e documenti dell’ospedale. Nelle due chiese, chissà come, sono ancora presenti due organi dal valore, dicono, di quasi 400mila euro. Gli altri padiglioni, quelli che i lavoratori chiamano “l’inferno” sono messi ancora peggio. Nomadi e senzatetto hanno portato via tutto quello che c’era da portare, specie cavi di rame, da rivendere al mercato nero.

IL FUTURO - La Regione Lazio, proprietaria dell’immobile, ha fatto sapere che per ristrutturare il tutto servirebbero non meno di 280 mln di euro. Con un atto di indirizzo nel settembre scorso è stata presentata la “riconversione e valorizzazione” in Cittadella della pubblica amministrazione. I comitati di cittadini e residenti hanno accolto con speranza la notizia, ma non si fidano. «Abbiamo più volte richiesto un incontro con la Regione Lazio, ma inutilmente», commenta Tina Pelliccia, Presidente del Comitato di Quartiere Monteverde Nuovo. «L’obiettivo è salvaguardare e valorizzare la struttura, facendola tornare al servizio dei cittadini.
Siamo preoccupati – conclude – dell’aumentare del degrado e dell’abbandono di un bene comune dei romani».

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