Omicidio Varani, non si trovano le impronte: troppo sangue sulle armi del delitto

Omicidio Varani, non si trovano le impronte: troppo sangue sulle armi del delitto
di Cristiana Mangani
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Venerdì 22 Luglio 2016, 08:49 - Ultimo aggiornamento: 23 Luglio, 17:53

Probabilmente non si saprà mai chi è stato a colpire Luca Varani. Chi ha impugnato il coltello o il martello, e lo ha ucciso sottoponendolo a una lenta agonia. La perizia sugli oggetti recuperati nella casa dell'orrore non ha potuto dare risposte precise, perché sulle armi del delitto non si riescono a identificare le impronte dei due principali indagati, Marco Prato e Manuel Foffo. Nei risultati consegnati al pubblico ministero Francesco Scavo dai carabinieri del Ris viene spiegato che la massiccia presenza di sangue della vittima ha coperto ogni altra indicazione, ogni altro elemento che avrebbe potuto aiutare a ricostruire la dinamica di quella notte infernale.

 

Le impronte dei killer, quindi, sono rimaste coperte e non si saprà mai se Marco Prato abbia infierito maggiormente sul ventisettenne coinvolto nel festino a base di droga e alcool nell'appartamento al Collatino. Oppure se quanto raccontato da Manuel Foffo corrisponda a verità, ovvero che sia stato il complice il primo ad accanirsi. Se abbia inferto lui il colpo finale e abbia infilato il coltello nel cuore della vittima: l'ultimo affronto a un corpo già torturato e seviziato lentamente.

Dopo diversi incidenti di percorso, rallentamenti provocati da discussioni tra periti, risultati dell'autopsia ancora non completati, si presenta ora questa nuova incognita. Foffo e Prato, dal giorno successivo all'arresto, si sono accusati a vicenda, scaricando reciprocamente la responsabilità della decisione finale. Poi Prato, l'ex pierre delle notti romane, ha scelto il silenzio. Si è avvalso della facoltà di non rispondere e non ha più detto niente al magistrato. Mentre Foffo sembra aver preso coscienza di quanto fatto. E, alla presenza del suo avvocato Michele Andreano, ha continuato a parlare, a sfogarsi, a piangere. Mentre in questi mesi sembra aver vissuto il carcere come la giusta punizione per quanto ha commesso.

I risultati della perizia, comunque, non cambieranno le posizioni, perché l'impianto accusatorio resta immutato. Sebbene anche l'analisi dei telefonini non sembra aver dato grandi risultati. E in attesa che gli accertamenti tecnici vengano conclusi, il pm dovrà rinunciare a chiedere il processo con giudizio immediato, visto che, quasi certamente, i sei mesi stabiliti dalla legge saranno ampiamente superati prima dell'arrivo delle relazioni definitive.

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