Il papà di Vanessa Russo uccisa in metro con un ombrello: «Doina via dall'Italia»

Il papà di Vanessa Russo uccisa in metro con un ombrello: «Doina via dall'Italia»
di Valeria Arnaldi
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Giovedì 26 Gennaio 2017, 07:32
«Per quanto mi riguarda, la possono lasciare libera anche domani. Ormai mi aspetto di tutto. Non trovo giusto però che rimanga in Italia. Le diano la libertà, lo ripeto, purché torni in Romania. Non è accettabile che rimanga qui a fare la bella vita. Così hanno proprio vinto loro». Ha la voce adirata ma ferma Giuseppe Russo mentre commenta la notizia dell'assegnazione in prova ai servizi sociali di Doina Matei, la romena condannata a sedici anni per aver ucciso il 26 aprile 2007 la figlia Vanessa colpendola con la punta dell'ombrello in un occhio a Termini su banchina della Metro A. Nelle sue parole c'è il dolore, ma nessuna sorpresa. «Ho sentito la notizia, per caso, alla radio». Ma la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Venezia Giuseppe la definisce «un altro sfregio», dopo la concessione della semilibertà all'assassina della figlia, sospesa per alcuni scatti che aveva pubblicato su Facebook ma poi riconfermata.

I PROCESSI
«Non è giusto prosegue il padre di Vanessa . Sono stati fatti dei processi e c'è stata una condanna a sedici anni. Ora a quella donna ne mancano appena tre da scontare. Questo vuol dire che quei processi sono stati una farsa, non sono serviti a nulla. E allora io domando: cosa sono stati fatti a fare? In fondo, è già come se fosse libera, che la liberino del tutto allora. Non qui, però lo ribadisco. Perché deve essere aiutata ancora? Le danno anche un lavoro, manca solo che le assegnino una medaglia per ciò che ha fatto! È un'assassina, non deve rimanere nel nostro Paese». Giuseppe Russo non dice mai Doina. «Non voglio neppure pronunciare il suo nome», dice e chiede a gran voce giustizia. «Sono dieci anni che attendiamo il risarcimento per la morte di nostra figlia. Non è una questione di soldi ma di giustizia. La vita di una persona non ha prezzo, ma qui pare che nessuno sia responsabile. La condanna prevede un risarcimento di cui nessuno parla. La responsabile non ha soldi, allora dovrebbe farsene carico lo Stato, ma lo Stato non paga. Mia figlia è stata uccisa in città, sotto la metropolitana, nella stazione, senza alcuna sorveglianza. Però non paga nessuno e sono ormai passati dieci anni. Ci hanno preso in giro e ci hanno abbandonati, nessuno ci domanda neppure come stiamo»

IL RISARCIMENTO
Eppure la situazione in casa Russo non è facile. «Mia moglie ha iniziato a stare male subito dopo la morte di Vanessa e alla fine, circa tre anni fa, ha dovuto lasciare il lavoro, un posto fisso, per questioni di salute. Non poteva proprio più andare a lavorare. Noi ci siamo sempre comportati in modo composto. Sono stato aggredito quando una volta, in merito a questi crimini, ho parlato di pena morte, ma quando ti ammazzano una figlia in un modo così crudele». La voce si spezza. Russo ora vorrebbe lasciarsi la tragedia alle spalle. «C'è una condanna. Ci deve essere un risarcimento. Paghino e chiudiamo questa storia. Finiamola. Non si fa così. Oltre a tutto il dolore anche questa vergogna del mancato risarcimento. È un atto dovuto per la memoria di mia figlia. Questo mancato versamento è l'ennesima offesa. Vanessa non valeva meno degli altri e noi continueremo a batterci. Io continuerò a farlo». Nella giustizia, non confida più. «Mi aspettavo solo che scontasse la condanna a sedici anni - conclude Giuseppe Russo - Ora l'assassina ha tutta la vita davanti a lei e può vivere come crede ma, sia chiaro, non qui, qui davvero non ci può stare. Nessun altro Paese le permetterebbe di farlo, ne sono certo. La mia parola però non conta nulla. Non ci piace essere presi in giro. Non è possibile accettare pure questo dopo tanto dolore».